Il ct della Nazionale ha fatto delle scelte impopolari (Belotti e Immobile) in nome di un’idea di gioco. Sacchi lasciò fuori gente come Vialli e Ferrara
Come deve fare il commissario tecnico
Non è facile essere e fare il commissario tecnico della Nazionale italiana. Roberto Mancini deve averlo capito da un po’, però ieri sera ha dato un’assoluta dimostrazione di bravura e coerenza, non necessariamente in quest’ordine. La rappresentativa di un movimento come il nostro, reattivo per definizione – cioè senza un progetto tecnico e tattico duraturo nel tempo, legato alle contingenze, alle indicazioni che arrivano dal campionato -, può essere gestita in due modi: con un sistema tattico di riferimento che adatta i migliori calciatori a certe istruzioni, oppure costruendo un modello di gioco partendo dai giocatori più forti, dalle loro caratteristiche. Ecco, l’ultima Italia che ricordiamo con piacere, quella di Antonio Conte, aveva scelto la prima strada. Mancini, invece, sembra aver imboccato senza remore la seconda.
E allora dentro i migliori, con la squadra che cambia in funzione delle loro qualità. In questo momento, i giocatori italiani più forti – Insigne, Bernardeschi, Jorginho, Verratti, probabilmente Chiesa e Barella – amano giocare il pallone nello stretto, tenerlo attaccato ai piedi, non preferiscono attaccare in campo aperto, negli spazi larghi, in transizione. Ecco che allora Immobile e Belotti, i centravanti più prolifici degli ultimi anni, diventano inadeguati perché non aderenti ai compagni dal punto di vista tecnico. Mancini, saggiamente, decide di rinunciare a un “nove” classico, allora vede e rilancia nel piatto della qualità: Insigne, Chiesa e Bernardeschi davanti con Jorginho, Verratti e Barella dietro.
Poi entra Lasagna invece che Immobile, quella è la fortuna che si palesa, il centravanti “alto” dell’Udinese spizza il pallone per il meritatissimo gol di Biraghi, ma il punto sta nella prestazione, non tanto nel risultato.
L’idea della qualità
Dopo tanto tempo, si è vista una Nazionale in grado di sviluppare un’idea. Per dirla in maniera semplice: si parte con dei principi, si muore con quei principi, nel nome di quei principi. Sulle pagine del Napolista, un anno fa, Ventura venne criticato perché l’Italia necessitava di un ct che avesse «un’idea di gioco sintonizzata sul campionato italiano – molto più vicino di quello che si crede al calcio internazionale. Che applicasse concetti, piuttosto che lavorare sul semplice ed eventuale sviluppo di una situazione di gioco».
Ecco, Mancini ha deciso di lavorare in questo modo. La sua idea – sua e dei calciatori della Nazionale – è quella di giocare a calcio in maniera veloce, imprevedibile, con sovrapposizioni e tecnica e interscambi di posizione. Tutto in velocità, tutto con buona qualità. Perché Florenzi e Biraghi sono due terzini rapidi e sempre pronti a orchestrare il gioco d’attacco; perché se se il pallone passa per un centrocampo composto da Verratti e Jorginho può arrivare pulito, facilmente giocabile; e perché Chiellini e Bonucci possono impostare ma non devono farlo per forza, c’è chi può farlo al posto loro. Con maggiore qualità di tocco, con più precisione e meno improvvisazione.
Il futuro
Mancini lavorava su certe idee da un po’ di tempo, il tentativo di recupero di Balotelli va (andava) in questa direzione. Di certo, Mario garantisce connessioni molto più creative rispetto a “un” Belotti, a “un” Immobile, anche ad “un” Cutrone. Però, non sta offrendo un contributo importante al Nizza, una sua convocazione sarebbe non giustificabile.
O forse no. Ecco, probabilmente il prossimo step su cui dovrà lavorare Mancini è l’uscita da questo trip mentale della Nazionale come una sorta di All Star del rendimento momentaneo. Quando un allenatore decide di abbracciare un certo progetto tattico, soprattutto uno con caratteristiche così definite, i sacrifici – anche quelli ideologici – sono inevitabili. E allora l’idea di fondare l’Italia su Insigne, Bernardeschi, Jorginho e Verratti può (potrebbe? dovrebbe?) portare al mancato utilizzo di Immobile e Belotti senza recriminazioni da parte dei media. Vale anche per lo stesso Cutrone, star designata: se la sua tecnica nello stretto non è all’altezza di quella dei compagni, non è un delitto lasciarlo fuori. Anche se giovane, anche se molto promettente. Viene prima la qualità, ora.
Forse Mancini non sarà Sacchi (Arrigo teneva fuori dalla Nazionale Vialli, Ferrara e altri mostri sacri nel nome dell’idea di gioco), ma se il meglio del calcio italiano richiede una rivoluzione del pensiero, bisogna prendere la Bastiglia senza remore. E poi, nel caso, bisogna anche tagliare qualche testa. Questo non vuol dire necessariamente (torniamo su) chiamare Balotelli al posto di Immobile perché Mario serve di più, piuttosto significa che questa eventualità può essere contemplata. Del resto, essere Ct vuol dire farsi carico di scelte difficili, anche impopolari a volte. Una volta si chiamavano selezionatori, non a caso. Magari Mancini non andrà agli Europei con questo nuovo modello di gioco, ma le promesse e le premesse intraviste nelle ultime amichevoli sono positive. E allora imbocchiamo questa via, se questa deve essere. Senza compromessi. Ieri sera ha funzionato, ed è stata una bella sensazione.