Mancano tre mesi ai Mondiali di Russia e le federazioni presentano le maglie da gara. Un trionfo di colori che riaccende ricordi, passioni e il rammarico di non partecipare alla festa.
Russia is coming
Mancano circa 80 giorni all’inizio dei Mondiali di Russia, l’evento sportivo più atteso dell’anno. Noi per una volta ce li gusteremo comodamente dal divano, senza inutili palpitazioni. Quest’estate non dovremo correre verso la bandierina sperando nell’aiuto di una sovrapposizione. Non scopriremo doti calcistiche in paesi dalla tradizione ovale. Né ci sentiremo in obbligo di leggere della autonomia energetica raggiunta con le rinnovabili per approcciare la sfida alla Costa Rica. Ma inutile fare i gradassi, tutto questo ci mancherà. Come mancheranno brani dance e pop-folk risuonare dagli spalti, canti popolari e inni cantati a squarciagola (per farvi scendere la lacrimuccia, basterà andare qui e alzare il volume).
Feticismo pallonaro
L’ultimo Mondiale a 32 squadre si avvicina e alla spicciolata le federazioni presentano le divise da gara. O da gala, se consideriamo quanto gli sponsor tecnici puntino ormai a disegnare maglie da indossare anche al di fuori di un rettangolo verde.
I brand più rappresentati sono anche quelli più conosciuti dal pubblico sportivo: Adidas, Nike e Puma.
I tedeschi delle three stripes vestiranno ben 12 selezioni e per questa rassegna hanno pensato ad uno stile vintage. Il design della Germania campione in carica, difatti, riprende elementi da Italia ’90 con l’aggiunta di un font ispirato all’alfabeto cirillico e all’estetica russa del Novecento.
Con la Spagna, invece, il salto all’indietro arriva fino ad Usa ’94. La Roja scenderà in campo con una cascata di rombi dalla spalla destra dai colori rosso, giallo-oro e blu. In particolare il blu dall’effetto viola ha indotto la federazione a diramare un comunicato per frenare sul nascere le polemiche nate intorno ad una connotazione politica sulla scelta di tale tonalità. In questi mesi contraddistinti da forti istanze indipendentiste, la RFEF ha dovuto precisare come alla base non ci fosse nessun richiamo alla bandiera della seconda repubblica spagnola degli anni ’30, ma solo la volontà di tradurre in colori velocità, energia ed il caratteristico stile di gioco delle Furie Rosse.
La Nike ha puntato invece sulla tinta unica e su modelli replicabili per le 10 Nazionali griffate ai Mondiali. La casa americana si è avvalsa del lavoro di alcuni tra i più stimati designer per sviluppare dei font ad hoc come nel caso dell’Inghilterra.
Quello della Nazionale dei Tre Leoni è stato implementato a partire dalla croce di San Giorgio, simbolo del Paese.
Un pezzo di Italia
I Mondiali saranno una prima storica per l’Islanda. Un traguardo raggiunto con la programmazione, l’interesse della politica ed investimenti economici. Ne scrivemmo in un interessante approfondimento (qui). A realizzarne le maglie per la rassegna russa sarà un’azienda italiana: l’emiliana Erreà.
La società della famiglia Gandolfi è nata trent’anni fa e da tempo sponsorizza la nazionale islandese, il cui exploit ad Euro 2016 impattò positivamente sul fatturato (+10% fino a toccare ricavi per 60 milioni). Con una impennata nel mercato britannico, quando l’Islanda eliminò proprio l’Inghilterra negli ottavi di finale. D’altronde il 55% del fatturato arriva dai mercati esteri. Cifre non di poco conto per una realtà a carattere familiare – che conta poco più di un centinaio di dipendenti- che resiste e compete in un settore nel quale spadroneggiano colossi dai numeri inavvicinabili. E che “affronterà” nella fase a gironi, quando l’Islanda sfiderà Argentina, Croazia e Nigeria.
Per il debutto su scala mondiale, il kit di Erreà richiamerà le caratteristiche del Paese: l’acqua, la neve e il fuoco. Blu, bianco e rosso. Fyrir Island, per l’Islanda, come inciso all’interno delle maglie.
Da Jay-Jay Okocha a Obi Mikel
Eccoci arrivati alla carrellata di maglie, una galleria di colori. Alcune resteranno nella storia, altre meno. Lo sapremo fra qualche edizione, quando frugheremo nella valigia del passato. Come qualcuno farà ricordando quel verde Nigeria di Jay-Jay Okocha mentre osserva adesso Obi Mikel. Oppure ripensando alla prima maglia del Giappone che sembra uscita da una serie tv distopica con protagonisti un gruppo di hacker informatici. Un po’ come se Mr Robot fosse in realtà Shinji Kagawa. Magari un giorno finirete per ricordare quel regalo di Natale alternativo, quando al maglione preferiste la maglia coi rombi, sì, ma del Belgio ai Mondiali 2018.