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L’ingegner Cosenza, tifoso del Napoli: «Abbonato in Curva B, in tribuna non si può stare»

Intervista all’ex assessore: «Ero in curva la sera della morte di Ciro, quante falsità scrissero. Una mia lettera aiutò il Napoli. Sarri è un grande, Jorginho un ingegnere elementare»

L’ingegner Cosenza, tifoso del Napoli: «Abbonato in Curva B, in tribuna non si può stare»

Ex assessore regionale

Professore di Tecnica delle Costruzioni all’Università Federico II, Edoardo Cosenza è stato assessore regionale alle Opere pubbliche e alla Protezione civile e preside della Facoltà di Ingegneria. Dallo scorso ottobre ricopre la carica di presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli. Non tutti però sanno che è innamorato perso del Napoli tanto da regolare i suoi appuntamenti lavorativi sulla base del calendario delle partite. A noi del Napolista ha raccontato la sua passione calcistica, legata tra l’altro a doppio filo alla storia della sua famiglia: «I miei primi due figli sono nati negli anni degli scudetti, ‘87 e ’90 – racconta – Il maschio, tifosissimo, è più malato di me, la femmina, invece, giovanissimo notaio, un po’ meno. La mia piccolina, che ha 18 anni, è nata con il Napoli in serie B, ma è più tifosa della sorella: è venuta persino con me a Madrid».

Ingegnere, è vero che fissa le sue riunioni di lavoro in base al calendario delle partite?

«Ebbene sì. Ho un’agenda elettronica incorporata al calendario del Napoli. Credo che sia necessario a qualsiasi tifoso per non fare guai! Si gioca ormai ogni giorno e a qualunque ora. Organizzo il mio calendario e i consigli dell’Ordine in modo da riuscire ad andare a vedere la partita».

E i suoi collaboratori che dicono?  

«Tutti i miei collaboratori sanno che sono tifoso del Napoli e che seguo le mie liturgie, come tutti i tifosi. Non accetto contestazioni su questo».

Quali liturgie?

«Tanto per cominciare, quest’anno ho fatto di nuovo l’abbonamento in curva B: ci vado con mio figlio. Sono proprio al centro della curva, sopra il nastro che gli ultrà mettono per delimitare il loro spazio. Indosso sempre la sciarpa originale del primo scudetto del Napoli. A casa, invece, ognuno ha il suo posto: io siedo in poltrona. Le partite fuori casa non si possono vedere a casa di un altro: devo stare al mio posto e vederla con le persone che dico io».

Edoardo Cosenza

Da cosa nasce la sua scelta di andare in curva?

«Per me il valore aggiunto è vivere l’atmosfera della curva, dove la partita si vede maluccio, per colpa delle bandiere che coprono la visuale, ma è lì che nascono i cori e che c’è il vero tifo. Lo stadio fa il tifo in funzione di quello che decidono le due curve: io preferisco la B. Quando ero assessore, avevo i biglietti in Tribuna Autorità: in cinque anni ci sono andato una volta sola. Sono uno di quei tifosi che credono che l’emozione della curva superi il disagio di vedere male una partita».

Era in curva anche il 3 maggio 2014, a Roma, quando fu ferito Ciro Esposito…

«Sì, ero nella curva di “Genny la carogna”. Ho visto tutto dalla curva Nord, dove erano i tifosi del Napoli. All’epoca ero assessore ai Lavori Pubblici e alla Protezione Civile. Quello che si viveva stando dentro era ben diverso da quello che poi è stato raccontato. Innanzitutto i nostri cellulari non presero più dall’inizio, fummo tagliati fuori da qualsiasi comunicazione da due ore prima della partita. Non c’era nessuna maniera di capire cosa stava succedendo, se non voci che giravano. L’unico modo era proprio attraverso i capi ultrà».

È vero che contribuì a far ridurre la squalifica del Napoli?

«Nei giorni seguenti la partita ci fu un attacco distruttivo verso i tifosi del Napoli e i tifosi della curva. Ero arrabbiatissimo. Spesso si pensa che chi frequenta la curva debba per forza essere un criminale, ma in curva vado anche io, con gli amici di mio figlio. In curva c’è di tutto. Così scrissi una lettera al Mattino, pesante, anche ironica, che descriveva l’accaduto visto da una persona come me, professore universitario e assessore. La cosa ebbe un forte riscontro e fu usata dal Calcio Napoli come una delle prove per avere la riduzione di  squalifica da due giornate a una. Lo stesso Formisano mi mandò un bigliettino di ringraziamento».

Edoardo Cosenza

Lei va spesso anche in trasferta. Cosa pensa del nostro stadio, paragonato agli altri? 

«Fuori è tutta un’altra storia! Madrid, Liverpool, sono stadi in cui stai comodissimo, ma soprattutto il tifo si sente più forte. Se il Napoli avesse uno stadio come quello della Juventus gli avversari sarebbero molto più intimoriti. Fuori il tifo è molto più invadente. Uno stadio migliore sarebbe più comodo per i tifosi e farebbe fare qualche punticino in più al Napoli. E poi siamo a distanze abissali dal campo, rispetto agli altri stadi».

A quando risale il suo primo ricordo legato al calcio?

«All’inizio degli anni ‘60. Allo stadio andavo con mio padre, entravo gratis perché non arrivavo all’altezza della barra che si usava per misurare i bambini. Era il Napoli che risaliva dalla serie B, quando Fiore e Lauro comprarono Sivori e Altafini, che poi si scambiarono il piacere: Altafini segnò alla Juve e Sivori al Milan. Ricordo che Sivori arrivava coi calzettoni abbassati. Prima di iniziare la partita, metteva la palla a centrocampo e, da solo, dribblava, segnava e c’era l’esplosione dello stadio. Sono questi i primi ricordi che ho. Lauro furbamente riuscì a comprare dei grandissimi campioni, tra l’altro arrabbiati con le squadre che li avevano mandati via».

Com’è cambiato da allora il calcio, in città?

«Non sono sicuro che sia così cambiatolo. Lo stadio è sempre stato un elemento di omogeneizzazione sociale e i tifosi sono sempre stati anche educati. Ricordo che mia moglie veniva con me allo stadio con il pancione e nonostante all’epoca non ci fossero i sediolini, l’educazione dei tifosi era massima: appena la vedevano, in uno stadio affollatissimo, creavano il vuoto per farla passare. Forse si sparavano più mortaretti pericolosamente. Ecco, da questo punto di vista un po’ è aumentata l’educazione: prima le squalifiche di campo del Napoli erano relativamente frequenti. Però non c’è una grande differenza rispetto ad allora. Non è cambiato neppure che ai tifosi napoletani piace il bel calcio. Quelli della mia età ricordano tutti il Napoli di Vinicio perché era il più bel calcio che esisteva in Italia in quegli anni: si usciva dagli anni del catenaccio e lui inventò il gioco totale. La verità è che noi ci appassioniamo molto anche al bel calcio, perciò tifiamo anche se non vinciamo».

Molti paragonano il calcio di Sarri proprio a quello di Vinicio…

«Sì, perché era il più bello. I tifosi della mia età non ricordano gli allenatori dell’epoca ma i calciatori, c’erano il Napoli di Vinicio e quello di Maradona. Ebbene, questo, invece, è il Napoli di Sarri, è caratterizzato dall’allenatore. È un Napoli bellissimo, forse il più bel calcio che abbiamo visto a Napoli. Maradona faceva tutto da solo; Vinicio non aveva grandi campioni: fu grande perché prese giocatori sconosciuti, come La Palma, che fece diventare un terzino importante, ma questo è il Napoli più bello che io abbia mai visto».

Che tipo di calcio è quello di Sarri?

«Un calcio coraggioso e pericoloso. Sfiora quasi la presunzione nel fatto che la palla non si può mai buttare via dall’area, neanche dalla nostra. La qualità è altissima, con tutti quegli scambi in velocità… Non è un caso che quest’anno mi sono fatto la tessera del tifoso per seguire il Napoli in trasferta: per me che sono un post sessantottino e non amo essere schedato è un grande atto di amore. E poi ho rifatto l’abbonamento dopo gli anni ’80. Certo, ho sempre continuato ad andare a vedere il Napoli, in tutti questi anni, ho portato mio figlio anche in serie C, ma non avevo l’abbonamento. Quest’anno, invece, ho pensato: “questo è l’anno”».

È davvero l’anno buono?

«È la tredicesima partita da cui usciamo imbattuti, ma siamo stati imbattuti anche nelle 13 precedenti. In 26 partite, se non sbaglio, abbiamo collezionato 5 pareggi e 21 vittorie. Stiamo proseguendo la fine dello scorso campionato. Quindi, che siamo i migliori è fuori discussione, lo siamo dall’anno scorso. Come si fa a non pensare che ci riteniamo i numeri uno? Sono i numeri che lo dicono!».

C’è qualcosa che invece la fa arrabbiare del Napoli di Sarri?

«I calciatori assimilano il gioco di Sarri solo giocando molto, per cui quando lui, all’improvviso, ha un problema, non riesce a recuperarlo subito. Mario Rui, per esempio, gioca bene, ma di fatto regge solo 60 minuti e questa è una cosa pericolosissima. Ma le sostituzioni non sono mai facili da gestire, per la grande classe di questi giocatori. Il grande merito di Sarri è di fare un gioco con passaggi fitti fitti, anche in area di rigore, senza mai eccezione. È un genio e io sono tra quelli che non credevano in lui. Quando de Laurentiis lo comprò, pensai che volesse risparmiare. Ora sono tra quelli che ammettono di essersi sbagliati: non avevo capito. E poi con Mertens ci ha sbalorditi tutti: si è inventato un centravanti. Lo chiamiamo “falso nueve”, ma quale falso: ha un senso del gol straordinario!».

Cosa pensa del presidente?

«De Laurentiis è un genio dell’imprenditorialità. Ha fatto grandi affari a comprare e vendere Cavani, Lavezzi e Higuain, non possiamo discuterlo. È un imprenditore e guadagna su questo, è legittimo, ma non ha una visione di lungo termine. Non c’è un vivaio, non c’è un centro sportivo di proprietà, moltissimi calciatori napoletani giocano fuori. Ma questa è una scelta imprenditoriale, cosa dire? Forse ha ragione: tenere un vivaio costa talmente tanto che probabilmente non ne vale la pena. Il limite che gli attribuisco è solo di avere una visione a breve termine, come se volesse fare in modo che si può sempre vendere il Napoli cash. Però il bilancio è sempre attivo. Poteva comprare qualcuno in più? È un dubbio, ma io ribalto il dubbio: qualcuno disposto a venire a Napoli a fare panchina c’era? Non lo so. E poi io non ho mai capito chi compra i giocatori: sono in una lista che fa Sarri o li inventa de Laurentis con il suo staff?».

Il suo giocatore preferito?

«Come si fa a non essere innamorati di Marek Hamsik? Ha fatto dell’essere napoletano una missione. Ha rinunciato a chissà quanti soldi per non andare fuori. È una persona squisita. Per me Marek è il Napoli. E poi ha una classe infinita. Poi, se oramai non regge più i 90 minuti non l’ho capito. E poi amo moltissimo Pepe Reina: fa spogliatoio, accende il tifo, è di una simpatia esplosiva. Però, anche qui, dovremmo pensare, come sta facendo la Juve, ad avere un vero secondo portiere. Stesso discorso per Albiol. Nessuno è eterno. È un problema a cui pensare».

E il calciatore di cui farebbe volentieri a meno?

«Difficile dirlo. Forse Hysaj, però bisogna vedere chi sarebbe il sostituto!».

Molti elogiano il gioco geometrico di Jorginho. Da ingegnere, che ne pensa?

«La sua è una geometria troppo elementare, da scuola media o da liceo. Non è una geometria geniale. Certo, fa una gran quantità di gioco lineare, lo dicono i numeri, ma ha pochi colpi di genio, in percentuale molto meno di Hamsik».

Lei è innamorato anche di Napoli, non solo del Napoli. È tra gli autori di Napoli in Love/2, il libro in cui 26 napoletani illustri accompagnano i lettori in un viaggio virtuale alla scoperta di un monumento o un sito storico. Quale ha raccontato?

«San Lorenzo Maggiore e la Napoli Sotterranea. Mio padre ha lavorato a lungo nel campo degli scavi archeologici e in quei luoghi ero stato spesso da bambino, li conosco molto bene. Il mio itinerario si snoda da piazza San Gaetano, dove, guardando la chiesa di San Paolo Maggiore si vedono ancora due colone greche, originarie del tempio dei Dioscuri. La chiesa di San Lorenzo è una meraviglia del ‘600, negli scavi c’è sia la Napoli romana che quella greca, è uno dei luoghi più simbolici di Napoli e uno dei più affascinanti del mondo. In una singola verticale si vedono 2500 anni di storia. Molti napoletani non lo sanno ma Napoli è stata fondata nel 475: nel 2025 compiremo 2500 anni».

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