Arrivarono a Napoli per dimostrare di non essere finiti. Mauro aveva uno scudetto con l’Inter, Vittorio con il Torino. Insieme, in azzurro, giocarono solo tre partite
Il Napoli in cerca di un libero
Quando arriva un campione e marca in modo indelebile la storia di una squadra di calcio, si usa dire “Prima di…..” e “Dopo di….” per iniziare a raccontare l’ennesimo capitolo di un romanzo calcistico che appassiona e muove i cuori. Per i campioni che hanno lasciato un solco profondo nell’anima dei tifosi partenopei, c’è un file della memoria che potrebbe essere etichettato come “Prima di Krol” e “Dopo Krol”.
Guardando distrattamente una delle rare foto fatte insieme con la maglia azzurra, Caporale e Bellugi, entrambi ex Bologna, sono stati i “liberi” del Napoli nei due anni prima dell’arrivo nel golfo di sua maestà Rudy Krol, coloro che la società cercava disperatamente dopo il fallito tentativo di puntare su Stanzione nel dopo Burgnich. Dei due, il primo fu protagonista di uno storico scudetto col Torino, l’altro aveva sentito il profumo della Grande Inter quando giocava con la Primavera nerazzurra.
L’orgoglio friulano
Due facce da vecchi filibustieri del pallone, capelli lunghi e basette larghe con un filo di barba, l’espressione di colui che rassicura gli altri della linea Maginot e dice “ci sono qua io, non si passa”. Entrambi arrivati a Napoli a 30 anni suonati, dati ormai per finiti ma, punti nell’orgoglio, vogliosi di dimostrare di poter ancora giocare a calcio ad alti livelli. Ed invece, nonostante dei discreti campionati, due per Caporale ed uno per Bellugi, la parentesi napoletana segnò il loro ‘canto del cigno’. Due ottimi giocatori o due campioni? Non stiamo qui a fare distinzioni perché sappiamo solo quello che c’è dopo il ‘campione’, ovvero il ‘fuoriclasse’. E Krol, che arrivò appena dopo di loro, lo fu. E con lui non abbiamo bisogno di fare dei distinguo inutili. Fuoriclasse puro fu l’olandese, i campioni sono fatti di un’altra pasta.
Gli elogi di Pecci
Caporale, palla al piede e testa alta, dopo gli anni furenti al Torino con il quale si laureò campione d’Italia, arrivò nel Napoli nella stagione 1978-79 quando tutti lo davano già per ‘bollito’, mitica la definizione di Pacileo “un giocatore ai limiti dell’archeologia”. Invece il buon friulano disputò l’intero campionato (saltò solo una gara) davanti all’amico Castellini facendo anche delle buonissime prestazioni. Formò una difesa tosta ed arcigna, Bruscolotti e Ferrario a far da mastini sulle due punte avversarie e Valente a fare il fluidificante a sinistra. Napoli terza difesa del campionato nonostante la preparazione svolta con Di Marzio e la rivoluzione copernicana portata dal ritorno di Vinicio invocato a furor di popolo.
Così ne ha tessuto le lodi Eraldo Pecci nel suo “Il Toro non può perdere”.
Caporale era un libero che sembrava fatto apposta per il nostro gioco. Usciva da dietro ed anticipava alto, anche a metà campo ; così diventava facile ripartire in contropiede. Era veloce e riusciva facilmente a recuperare la posizione le rare volte che sbagliava i tempi dell’anticipo. Aveva un fiuto finissimo nell’intuire un attimo prima dove sarebbe arrivata la palla”
Con Pelè
Tutte qualità che negli anni di Bologna, dal 1971 al 1975, il friulano non aveva mostrato. Nella squadra felsinea aveva giostrato più da terzino che da libero, mansione che era riservata a Battisodo. Un ruolo in cui giocò anche quando il Bologna fece una tournée estiva in Canada a fine giugno del 1971 ed incontrò il Santos. Nell’ultima e decisiva sfida coi brasiliani Edmondo Fabbri chiese al neo acquisto Caporale se se la sentiva di marcare Pelè. La scorza friulana del difensore non si tirò indietro, mostrò carattere e rispose “signorsì”. Purtroppo Pelè segnò e al nostro non restò che farsi la foto ricordo con uno dei monumenti del calcio mondiale. Col Bologna, dove spiccava il fiuto in zona gol di Savoldi, Caporale vinse una Coppa Italia prima di passare al Torino e diventare uno dei liberi più forti del campionato.
Caporale chiuse col mondo del pallone, nonostante avesse solo 33 anni, e fece quello che molti uomini veri, non inebriati dalla fama e dal successo, decidono di fare dopo il calcio. Tornò in una dimensione più umana ed andò a lavorare nell’azienda del fratello in Friuli. Basta calcio, i capelli al vento ed il riso sornione degli anni in cui si combatteva nelle aree di rigore a spintoni e a lanciare la palla più lontano possibile. Fu così che Vittorio Caporale iniziò la sua vita da adulto, testa bassa e lavorare. L’ultima gara giocata in Serie A fu proprio un Napoli – Milan del 30 marzo del 1980, vittoria dei rossoneri con rete di Bigon. La settimana prima era scoppiato lo scandalo del “calcio scommesse”. Immaginiamo Caporale, che veniva dalla gavetta e giocava a calcio per passione, fare il numero di telefono del fratello e dire: “Voglio lavorare con te, basta con questo marciume!”.
Bellugi
Mauro Bellugi, invece, che curiosamente aveva preso proprio il posto di Caporale al Bologna, dopo l’anno col Napoli fu ‘costretto’ a lasciare la nostra città per l’arrivo di Krol e si accasò alla Pistoiese, una neopromossa in serie A, con la quale chiuse la carriera a soli 32 anni. Un curriculum vitae di tutto rispetto anche per il toscano della provincia di Siena. Anni splendidi all’Inter, parte dalle giovanili fino ad arrivare alla prima squadra e si disimpegna da terzino e poi come stopper dopo il passaggio di Burgnich (ancora lui!) al ruolo di libero. Con l’Inter vinse lo scudetto 1970-71 giocando 19 partite su 30 e si mise in bella mostra come jolly difensivo ruggente e sanguigno.
Furono gli anni che gli permisero, spalmati nel tempo, di collezionare ben 32 presenze nella Nazionale maggiore. Dopo la permanenza in nerazzurro arrivò la chiamata del Bologna dove Bellugi diventò giocatore vero e libero affidabile. Rimase interista dentro, anche quando passò al Napoli, e la conferma la si è avuta quando poi è diventato opinionista in tv facendo un tifo sfegatato per l’Inter.
La coabitazione con Caporale
Ferlaino lo acquistò con l’intento di farlo alternare con Caporale o farlo giocare da jolly difensivo. Curiosamente, invece, i due giocatori scesero in campo insieme per tre volte con Bellugi terzino destro e Caporale libero. La cosa non funzionò e Vinicio fu costretto a scegliere. L’ex interista andò a comandare la difesa, grazie anche ai malanni del friulano (il suo ginocchio fece ‘crack’ nella gara di Firenze dopo 15 minuti di gioco), e fece quasi tutto il campionato comportandosi in modo onorevole. All’ex Torino non restarono che le briciole, solo 9 presenze.
Oggi Vittorio Caporale ha 70 anni, è un po’ più stempiato ma porta ancora i capelli lunghi come una volta. Ogni tanto si ritrova con i vecchi amici dal ‘cuore Toro’ per una simpatica rimpatriata. Tra l’altro cura una pagina Facebook a suo nome con il bel nomignolo in evidenza, “Caporalbauer”, un chiaro omaggio che vollero fargli i tifosi del Torino che lo paragonarono al mitico Beckenbauer per come sapeva uscire, palla al piede, dalla propria area ed andare ad impostare l’azione. Un libero che sarebbe piaciuto anche a Sarri, chissà.
Bellugi, invece, a 67 anni, fa parte di quei famosi ‘teatrini’ o ‘commedia dell’arte’ delle trasmissioni che, sulle tv locali, commentano e spiegano in diretta le partite senza farti capire nulla. Il suo viso rubicondo, ormai, somiglia sempre più a quello di Jerry Calà.