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Ex Terra dei fuochi / «Noi bollati come avvelenatori, il dissequestro non ci basta»

Dopo il dissequestro di pozzi e terreni: 4400 campioni di terreno, 2942 di vegetali e 659 di acqua ad uso irriguo hanno evidenziato l’assenza di sostanze nocive.

Ex Terra dei fuochi / «Noi bollati come avvelenatori, il dissequestro non ci basta»

Il dissequestro non basta ai contadini

Caivano. Dove eravamo rimasti? All’intervista di don Patriciello il parroco finito in un angolo della storia che smentisce (su Facebook) se stesso e il contenuto dell’intervista che ha concesso al cronista. È stato uno dei momenti più bassi di questa squallida vicenda, ma, come si dice, al peggio non c’è mai fine. A distrarci da questi pensieri è venuto il dissequestro dei fondi e dei pozzi “incriminati”, ma la gioia dei contadini che ritenevano di aver ottenuto giustizia dopo tre anni di mortificazioni è durato giusto il tempo impiegato dai loro avvocati per interpretare il provvedimento. Ad una più attenta lettura, infatti, il sospirato dissequestro ha lasciato tutto come prima – forse ancora peggio di prima – perché manca il provvedimento di archiviazione che è fondamentale per consentire al proprietario dei fondi e dei pozzi di accedere al risarcimento dei danni.

Il compromesso all’italiana

E, allora, eccoci di nuovo a Caivano. ‘A nuttata, insomma, non è ancora passata e voci insistenti, anzi, annunciano un nuovo giro di vite da parte dei corpi dello Stato. Se così stanno le cose niente è cambiato e la Terra dei Fuochi continua ad essere una zona franca nella quale non è importante accertare la verità quanto “costruire” una pace fittizia garantita da un compromesso che impone all’uno e all’altro dei contendenti di non “vedere” cosa accade in campo avverso. Il ritornello è antico quanto le malefatte della nostra burocrazia: io ti do una cosa a te, tu me dai una cosa a me.

terrafuochi

La terra offesa è prodiga di frutti

In questo modo tutti hanno vinto e tutti hanno perso: cosa vuoi più dalla vita? Si fa festa nei Palazzi per l’ennesimo compromesso, ma a Caivano e in tutta la Terra dei Fuochi si continua ad annaspare nella disperazione anche se, al riparo delle serre, si preparano le fragole e si lavora all’insalata che è già pronta per il mercato. Si lavora, ma non c’è allegria e, soprattutto, si teme che possano ripetersi le sequenze drammatiche di tre anni. «In una notte abbiamo perduto tutto e quel che è peggio siamo stati bollati come avvelenatori di donne e bambini». Nicola Palladino, uno degli imprenditori sotto tiro da tre anni, ha rimesso in frigo la bottiglia di spumante «perché non è ancora tempo di brindare» e Vincenzo, il contadino che ha i terreni confinanti con i suoi, spiega che la terra “offesa” perfino sull’altare continua ad essere prodiga di frutti: «la rucola, dice, è andata bene e anche l’insalata terrà il prezzo». Ce ne rendiamo conto guardando i filari di lattuga, tutti uguali, allineati l’uno all’altro quasi a formare una enorme distesa. Di qui a poco verranno gli autoarticolati dei supermercati dalla Germania e di tutte le regioni italiane, controlleranno il prodotto e se lo porteranno via avendo instaurato, ormai, un rapporto di piena fiducia con gli operatori locali. Che non è mai venuto meno.

Raffaella, novant’anni, lavora ancora nei campi

A margine dei campi gli operai, intanto, stanno facendo merenda e si godono il sole di questa prolungata estate di San Martino. Discutono, anche animatamente, e la più vivace sembra essere una donnina ancora saldamente sulle gambe ma visibilmente avanti con gli anni che si possono agevolmente contare sommando le rughe che segnano il suo volto. Si chiama Raffaella, ha novanta anni e incarna il dna fuori scala di questa terra: è profondamente religiosa ma se qualcuno osa mettere in dubbio la sua onestà – si trattasse pure di un mazzetto di cipolle – sarebbe pronta a passare a vie di fatto avvalendosi dell’aiuto dei suoi cinque figlioli. Oltre questo limite caratteriale, però, nonna Raffaella è simpatica, estroversa e in campagna lavora ancora con buona lena, certo s’intende poco di scartoffie – le chiama così – ma ha la schiena curva e le tocca ancora lavorare. Sono questi gli abitanti della Terra dei Fuochi: contadini senza voce, in balia di tutti e perdenti con tutti soprattutto, dice uno di loro, con i rom che di notte appiccano i roghi su commissione della camorra.

A noi nessuno dà ascolto – dice Vincenzo – prendiamo botte perfino quando tentiamo di migliorare le nostre produzioni. In questi mesi, per dirne una, abbiamo tentato di coltivare il melograno, ma abbiamo dovuto rinunciare perché ci manca la forza economica per poter competere. Quelli che vendono i semi impongono la loro legge e lo stesso fanno i supermercati: noi stiamo in mezzo e subiamo. Era successo anche con i kiwi e la storia si è ripetuta con il melograno.

La conclusione è unica: questa è ancora una terra maledetta nonostante gli esami su 4400 campioni di terreno, 2942 campioni di vegetali e 659 di acqua ad uso irriguo abbiano evidenziato l’assenza totale di sostanze nocive.

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