La miglior partita giocata dall’attaccante bergamasco nel Napoli di Sarri, accanto a Higuain. Come ripercorrere quel match senza stravolgere la squadra.
È il nostro tarlo, ora: Manolo Gabbiadini. Come fare perché renda al meglio, come dargli e quindi darsi la possibilità di trasformarlo in quello che ancora non è mai stato, ovvero il centravanti di questo Napoli costruito da Sarri. Il problema è semplice, chiaro: Manolo Gabbiadini ha una dimensione tattica ibrida, e per questo ha poco a che fare con lo stile di gioco della sua squadra. Che pratica un calcio spettacolare ma strutturato, e ha un’impostazione di fluidità e coralità che si basa su un lavoro, studiato a tavolino, di perfetta aderenza tecnica: ogni giocatore ha un suo ruolo preciso, il suo ruolo migliore.
Difficile pensare a un Napoli che cambi completamente per assecondare un attaccante diversissimo rispetto a Higuain, differente pure da Milik. Anche perché, in questo inizio di stagione positivo, il Napoli ha già mostrato di essere diverso rispetto a quello dello scorso anno. La squadra di Higuain, che gioca per Higuain, è diventata una squadra in grado di esaltare tutti i propri uomini gol offensivi. Lo stesso Gabbiadini, pur se in tono molto minore, si è giovato di questi piccoli cambiamenti: il gol al Chievo, condito da una prestazione generalmente positiva, ha in qualche modo confermato come l’avvicinamento vicendevole tra l’attaccante ex Sampdoria e il Napoli stesse procedendo bene seppure a piccoli passi.
Il Napoli, quindi, non cambierà. Deve cambiare Gabbiadini, anche se Sarri ha un’occasione per dare ulteriore imprevedibilità alla sua squadra. Cambiare ancora qualcosina, aiutare in qualche modo Manolo a dare il meglio. La testimonianza che viene dal passato c’è, è vecchia di un anno: Empoli-Napoli 2-2, l’unica partita in cui Gabbiadini è partito titolare l’anno scorso fino alla squalifica di Higuain. Una partita in cui Gabbiadini realizzò due assist e seppe rendersi davvero utile alla squadra. Vediamo come.
Intanto, giocando intorno ad Higuain. Muovendosi, non nascondendosi. Come vediamo nella heatmap percentuale appena sopra. Interpretando non il suolo di prima punta, ma quello di seconda. Che poi sarebbe quello più congeniale alle sue caratteristiche: tecnica di base, fisicità che pare scarna ma in realtà è pure possente, gran calcio da lontano. Più la capacità di leggere bene la situazione di gioco. Quando invece diventa attaccante puro, Gabbiadini si trasforma in un Inzaghi in pectore, si sente riferimento offensivo e quindi pensa più e prima a dare profondità piuttosto che offrire appoggio ai compagni. Non è un caso che il gol ufficiale realizzato in questa stagione nasca da un’azione alla Gabbiadini e non da centravanti, con palla giocata dietro da Callejon sull’appoggio dell’ex doriano. Un’azione che, se vuoi, non è molto dissimile da questa del secondo assist a Empoli, nel giorno della sua miglior partita della scorsa stagione: Gabbiadini riceve il pallone appena fuori area, il corridoio di tiro diventa corridoio di passaggio per Allan. La sensibilità del tocco col piede mancino fa il resto.
Dinamica simile, diversa dall’imbucata alla quale Gabbiadini costringe spesso chi vuole servirlo. E che, in partite contro centrali difensivi fisici eppure veloci (Villarreal e Inter, nella scorsa stagione), diventa un’autocondanna alla morte delle zero palle giocabili. Anche il secondo (primo) assist di Gabbiadini a Empoli racconta di come il calciatore si muova meglio con un riferimento offensivo davanti a sé, senza le briglie del centravanti sul collo. Al tempo stesso, però, il gioco del Napoli 2016/2017 consente alla punta centrale di pensare ed effettuare movimenti del genere, grazie soprattutto al lavoro perfetto di taglio a centro area degli esterni offensivi.
Il Napoli, non potendo schierare una seconda (prima) punta accanto al bergamasco, potrebbe in qualche modo smussare un po’ il suo gioco per favorire questo tipo di movimenti da parte di Gabbiadini. Che, da aspirante centravanti classico secondo la sua interpretazione, potrebbe in qualche modo diventare un buon centravanti di manovra, con grandi doti di tiro dalla media/lunga distanza e con una grande capacità di dialogo con i compagni. Insomma, alternare la necessità del gol a una diversa espressione del ruolo di centravanti. Fare di necessità virtù, come si suol dire: un passo in più del Napoli verso Gabbiadini e un passo di Gabbiadini verso il Napoli. Tatticamente, la situazione è grosso modo questa. Emotivamente, ne abbiamo già parlato ieri in un pezzo sul concetto un po’ estremo di Gabbiadini frontman. La sensazione è che la risoluzione dell’enigma tattico, magari con il gol o con una prestazione che permetta a Manolo di essere veramente, finalmente, dentro a questa squadra, possa risolvere anche i freni psicologici di un calciatore che è sembrato sempre fuori contesto, anche da questo punto di vista. La Roma è il primo banco di prova. Difficile, subito. Vediamo come andrà.