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Il Napoli a Berlino, tra ricordi del Muro e papponisti da esportazione

Il racconto, dalla Germania, di Hertha-Napoli: la partita, i napoletani sugli spalti e pure gli striscioni di contestazione (che spariscono subito).

Il Napoli a Berlino, tra ricordi del Muro e papponisti da esportazione

Lungo la propria esistenza ciascun uomo si trova a percorrere le strade delle proprie origini e i luoghi che durante la vita gli capita di scegliere. Amare i primi è parte del nostro naturale mestiere di vivere, avere la fortuna di amare i secondi è invece un enorme privilegio. Berlino, la mia città d’adozione, di un popolo fiero di non essere fiero, contorto ma libero, accoglie la squadra della città dei miei natali in una splendida serata agostana, di quelle in cui l’aria della Hauptstadt è densa e lieve e già venata d’autunno. Non è un giorno come gli altri. Non può esserlo. È il tredici agosto, lo stesso in cui, nel 1961, gli abitanti si svegliarono all’ombra di un muro infame costruito nottetempo. Perché qui ogni giorno è il ricordo di un abisso passato su cui è inutile continuare a rimuginare.

Il Napoli che viene a giocare a Berlino, per i napoletani di queste parti – originari di Girolamo Santacroce, di Ischia, di Pompei, resi nostalgici e disincantati dal tempo – è una tregua temporanea tra due mondi inconciliabili che, chi è partito, sa che mai potranno convivere se non brevemente nella follia di un gioco, sul filo del quale c’è Hamsik che veste con autorità austera la fascia di capitano a pochi metri da casa tua, solo per uno scampolo di giornata, al Friedrich-Ludwig-Jahn-Sportpark, un tempo stadio della DynamoBerlino, la squadra patrocinata dalla feroce STASI, il ministero che provò ad ammazzare i sogni. I tifosi partenopei sono ovunque, sparsi, addensati, rumorosi come le loro storie; alcuni indossano divise di annate diverse, altri sono avvolti in bandiere azzurre, ma stasera portano tutti negli occhi un medesimo senso di dignitosa e silenziosa gratitudine; espongono la bandiera della Polonia, in onore dei nuovi beniamini, nella capitale del paese che qualche decennio fa quella nazione la invase. Uno sberleffo persino al dolore, fatto con la delicatezza del gioco del calcio.

Ed il Napoli, sul campo, è tutto. Non si sottrae a questo carnevale della storia. Lo onora. Scende contratto e rigido come il vento di questo periodo. Si smarrisce, si ingolfa e subisce. Ma risale dal ventre della sconfitta con un colpo di tacco, quasi sussurrato in porta. Poi cambia, si estende, controlla e strappa gli applausi, persino dei tedeschi. Sul manto inumidito Arkadiuszduetta con Mertens come fanno nelle serate migliori solo ivecchi amici, mentre i minuti scorrono e fa capolino una bandiera della Croazia tra le gradinate, un tributo a Strinić o forse un auspicio per la chiusura di calciomercato. Il Napoli, ai miei occhi, è Lorenzo Insigne. Che gioca male, ha gambe di legno, quasi si sente solo. Lo guardo e immagino abbia in testa il ronzio assordante dei mille familiari che gli parlano “del suo meglio”. Conosco quei ronzii. Li conosce ogni uomo del sud. Come se il talento avesse bisogno “del suo meglio”. Lorenzo è piccolo, è nero, è coraggioso, è di classe purissima come il meglio della mia terra. A fianco a me, sugli spalti, una voce lo incita. Ti auguro fortuna, Lorenzo. A Napoli, a Berlino o in qualunque altro luogo del pianeta. Forse anche tu devi scegliere una terra d’adozione.

Al goal dell’Hertha, nel mezzo di un gruppetto di tifosi abbarbicati in un angolo della curva napoletana, fa mostra di sè un timido striscione. “ADL… Pappon€”. Sembra scritto su qualcosa che pare un enorme sacchetto di carta da pane, di quella riciclata 100%, con un po’ di vernice nera rimediata alla meglio dalripostiglio di qualche vecchio cognato. Questi coraggiosi papponisti, infatti, che espongono il loro imprescindibile malcontento solo se le cose si mettono male, pretendono dalle tasche altruii soldi sull’unghia ma si mostrano comicamente micragnosi quando si tratta di investire i danari propri finanche nel loro lamento cosmico. La serata, tuttavia,offre ironia a piene mani e questi fratelli meno fortunati non se li fila nessuno neanche di striscio. Sul muro del palazzo che fa da sfondo alla curva campeggia una frase che pare vestire loro a pennello: “Mehr fantasie”, più fantasia, cocchi miei. Cosi’ il destino spietato si accanisce equesti poverelli -dopo aver fatto centinaia di chilometri con lo striscione marrone sotto braccio e la maglia della salute piegata e stirata dalla mamma il venerdi sera, prima di partire per un lungo viaggio in un luogo freddo che causa spesso pericolosi colpi d’aria – vengono drammaticamente sepolti prima da uno, poi da due, poi da tre ed infine da quattro goal degli azzurri. Non serve altro. Lo striscione cala rapidamente e viene inghiottito dalla curva. Meglio riciclarlo per la prossima trasferta. Gli striscioni costano e la crisi morde.

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C’e’ tutto, dunque. E ci siamo tutti. Siamo una grande famiglia che è pronta a partire. Riallestita. Con qualche ricordo da cancellare. Con miriadi di intrecci. Con molte nuove opportunità. Siamo pronti. Questo é il Napoli. Come Napoli. Come Berlino, “quando piange e quando ride”, come cantava la sua eterna madre Marlene Dietrich.
Buon campionato a tutti.

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