È l’unica rivoluzione possibile per difendere la nostra passione per questo superfluo chiamato calcio.
Mentre ero alla ricerca di un buon bianco isolano per la cena, ho trovato stampato sul dorso di una bottiglia: “La prima necessità dell’uomo è il superfluo”. Qualche migliaio di anni di storia non possono mentire: quanto di straordinario ci hanno insegnato i nostri avi nel tempo è un lungo ed avvincente racconto del superfluo. Il mondo, come si sa, all’uomo non basta, per cui non gli rimane che fuggire la vita grama del soddisfacimento dei bisogni per abbracciare quella straordinaria della scoperta del non necessario. Il calcio fa parte di tutto quanto è inessenziale: sublime e inutile come ogni arte, non sfama, non disseta, non cura malattie ma contribuisce a renderci umani.
Ora, legge vuole che tutto ciò che è superfluo lo sia sempre a caro prezzo – perché vivere un’esistenza dell’ovvio necessario è da tutti, ma da pochi trarne addirittura piacere. Il superfluo costa procurarselo, costa imparare a comprenderlo, costa comunicarlo, come ogni gioco “a perdere”. Come accade con tutte le droghe, vere o sociali. Il calcio si paga, cari fratelli. Si paga bene e deve far sentire il suo peso sul nostro portafogli, o cessa di esistere. E Napoli, francamente, spende poco quasi su tutto, dai biglietti al merchandising, pur lamentandosi quasi di tutto.
Spendiamo, dunque. E di più. Per tutto quanto non ci è indispensabile. Perché questo ci distingue. Ed anche perché, se qualcuno non se n’è accorto, è sotto attacco il nostro stile di vita – si attaccano le feste, i concerti, i treni, i lungomari. Si attacca il nostro amore per il superfluo, il diabolico che caratterizzerebbe una società effimera, consumatrice di ideali, di cose e di persone. Come se tutta l’arte non consumasse, non fosse la madre di tutti gli inganni. Come se il calcio non fosse tuttavia una autentica macchina del sacro – producendo racconti, miti, credenze – senza mai imporre, giudicare, escludere, senza costruire idoli cui asservire popoli. Il calcio è sacro e disperato per sua natura: non fornisce alcuna soluzione ai problemi umani eppure ci avvince. Ed è un fottuto figlio del business, dei contratti scritti e stralciati, delle clausole rescissorie inarrivabili e pagate, degli amministratori delegati politicizzati, dei bilanci e dei diavoli che ci portano pur conservando purissimo l’amore che ogni arte distilla. Il calcio è il sacro laico del nostro tempo contro il quale non potrà nessun terrore. Fuori dai templi religiosi, all’aperto dei campi da gioco, prodotto nelle stanze di poteri piccoli e grandi.
Dobbiamo difenderlo e finanziarlo proprio come dobbiamo conoscere e difendere la società in cui viviamo, specie ora che c’è chi lavora a smantellarla, perché bisogna anzitutto avere un briciolo di gratitudine per quanto si è se si vuole avere almeno una sola chance di cambiare.
Insomma, cari fratelli: Cacciamme ‘e sord. Questa è la sola rivoluzione – seria – a nostra disposizione.