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La Marcundela, ma anche il furto dell’Università del caffè

La Marcundela, ma anche il furto dell’Università del caffè
Avete mai sentito parlare di “marcundela”? E’ un prodotto tipico del Friuli, composto di un trito di fegato, milza, reni, polmoni, grassi teneri del ventre, carni sanguinolente, conciato e salato, avvolto nell’omento del maiale stesso. A seconda della zona dove viene prodotto e consumato, il  nome può variare in: martundela, markundela, markandela.
 
La marcundela viene consumata dopo essere stata cotta, bollita nel vino rosso, oppure fritta in padella, irrorata sempre con del vino rosso. L’Agenzia regionale per lo sviluppo rurale del Friuli Venezia Giulia, rivela: «Un tempo, dopo essere state stagionate, le markundele venivano cotte in burro ed acqua e venivano consumate al mattino con la polenta, poiché la colazione doveva essere sostanziosa per sostenere la fatica del lavoro nei campi». Sostanziosa e alcolica, aggiungo. Probabilmente anche per sopportare le temperature basse del mattino. 
 
Qualche anno fa, di passaggio a Udine di primo mattino, entrai in un bar del centro per la necessaria dose di caffeina della giornata. Pensai: nella regione che nel 2002 ci ha scippato l’Università del caffè nata a Napoli nel 1999, sapranno ben fare un espresso decente… Mo’ vi faccio ‘o cunto e ‘a ‘mmasciata. 
Il primo bar aveva ogni tipo di alcolici, dal vino ai super, ma niente caffè. Il secondo: la macchina ancora spenta. Ancora adesso mi domando se quando entrai nel terzo locale mi guardarono strano per l’espressione incazzata che avevo a causa di quel girovagare o perché la mia era ritenuta comunque una richiesta insolita, visto che a quell’ora davanti a me vedevo solo sgnaparûl (bevitori di grappa) e altri snopist (alcolisti) intenti a sorseggiare vèin (vino). “Cafè moche” (un caffè espresso), ripeté lo stralunato barista mentre raggiungeva la macchinetta senza leva, nascosta in un angolo del bar dietro decine di secchielli termici da vino. “Lis oris de matine a son la mari dai mistîrs” (le ore del mattino hanno l’oro in bocca), esclamò a voce alta uno degli avventori impegnati a sgnapetâ (bere grappa) e con un gesto rapido tracannò l’ennesimo bussul (bicchierino, anche gotisìn). 

Etilizzato (questo termine lo propongo all’Accademia della Crusca) dall’aria pregna di vapori alcolici di quel bar e intossicato da quella ciofeca che mi avevano venduto per caffè, presi rapidamente l’uscita sentendomi fieramente maraman (terrone, anche ci?hariel).

E chest’è. Edamus, bibamus, gaudeamus! E sempre forza Napoli! 
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