«Avete poi appurato di quanti uomini sia necessario disporre per un colpo di stato?»
Se non conoscessimo a fondo il professor Freud diremmo quasi che ad accompagnare la domanda v’è un accenno di sardonico sorriso sul suo volto.
«No, dottore. Avremmo dovuto?»
«Beh è stato il vostro allenatore ad affermare, tempo fa, che con 18 uomini si può fare un colpo di stato e prendere il potere – queste furono le sue parole esatte – e per un uomo che viene dalla terra di Curzio Malaparte, che sulle tecniche del colpo di stato scrisse un celebre trattato che presumibilmente egli avrà letto, quella mi parve una frase non banale»
«Lei crede che Sarri volesse fare un colpo di stato, dottore?»
«Da un parte, chi, nella propria vita, non ha desiderato attuare un colpo di stato, almeno una volta? E, dall’altra, cosa è ogni campionato di una pretendente se non la pianificazione e l’esecuzione, più o meno malriuscita, di un golpe, e cosa il termine della stagione e l’attesa della successiva se non una critica al fallimento del coup d’état appena provato? Attentare alla vita di una istituzione, quale di fatto è una squadra che vince da quattro campionati di fila, è già di per sé un colpo di stato.»
«Eviteremmo volentieri di buttarla in politica, Herr Freud»
«Ma il calcio è politica. C’è solo chi ha la fortuna – o il sesto senso necessario – di accorgersene prima degli altri. Avete letto il libro che vi avevo consigliato per il nostro cammino psicoterapico?»
«Non ce ne voglia, dottore, ma sfogliare La congiura di Catilina di Sallustio ci pareva un po’ troppo sopra le righe. Non è che ci si trovino i voti del fantacalcio dentro»
«Lo sospettavo. Ma bisogna provare a pensare che per comprendere il calcio ce ne si debba allontanare molto se vogliamo, non dico arrivare ad una conclusione, ma almeno non rimanerne atterriti. Il Malaparte, quello della Tecnica del colpo di stato, chiama i golpisti d’ogni tempo catilinari. Perché il primo, anzi l’archetipo di ogni sobillatore è stato Lucio Sergio Catilina, duemila anni e un secolo fa. La sua è la storia di ogni squadra che insegue il potere che da troppo a lungo le è alieno, un potere che fu e che i tempi non vogliono far tornare. Tecnicamente, egli è anche l’archetipo dei perdenti, quali la storia, tutto sommato, ha reso anche voi, con l’eccezione che forse Sacchi riconoscerebbe tuttavia al latino la mentalidad ganadora»
Il professore ora ha tra le mani il quinto capitolo dell’opera di Sallustio e legge:
«Catilina, nato da nobile famiglia, fu di grande forza sia dell’animo che del corpo, ma di indole malvagia e depravata. Il corpo era tollerante alla fame, al freddo, alla veglia, più di quanto possa essere credibile per chiunque. L’animo era temerario, subdolo, incostante, simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa, desideroso dell’altrui, prodigo del proprio, focoso nei desideri; più eloquente che assennato. L’animo mutevole desiderava sempre cose smoderate e troppo alte.»
«Con il dovuto rispetto, dottore, noi siamo qui perché riconosciamo di essere malati di calcio. Ma non malvagi e depravati».
«Non badate a queste sottigliezze retoriche – soggiunge Freud – uno storico che scrive a cose fatte deve pur prendere le parti della storia. Ed essa ha condannato Catilina, il sobillatore, ed incoronato Cicerone che lo attaccò dinanzi al Senato, di fronte al pieno delle istituzioni, con orazioni lunghe e noiose almeno quanto molti degli editoriali da prima pagina sportiva. Ma persino lui, l’uomo delle istituzioni, persino Cicerone non poté esimersi dal chiamare questo scellerato golpista monstrum atque prodigium, un contro natura, un avvertimento degli dei, il paradosso, la vera meraviglia del mondo. Mentre scriveva le sue orazioni, Cicerone sapeva in cuor suo che il mondo è fatto dai Catilina che lo scuotono e lo dirigono, e i Cicerone che li raccontano da bravi ragionieri»
«Rimanendo in metafora, professore, non si può però negare che a vincere i campionati fu poi Cicerone, e i Catilina del pallone se la prendono sempre in saccoccia»
Chiude il libro dello storico latino e, sedutosi, sospira: «Dipende. La Repubblica che egli desiderava esisteva tutto sommato solo nella immaginazione di Cicerone, e sarebbe caduta di lì a breve. È una questione di dettagli che per assaltare il palazzo devono essere giusti in numero e qualità. Il gruppo necessario di uomini con le virtù richieste. Non uno di più, non uno di meno. E poi una mentalidad ganadora che sia prodigium – straordinaria nel gioco – ma senza mai smarrire il suo essere monstrum – spaventosa, per sé e per gli avversari, il segnale che quel gioco andrà avanti fino alla ennesima partita, e oltre se necessario, giungendo alle estreme conseguenze. Prima di andare incontro a morte certa, Catilina-allenatore ebbe il tempo di arringare i suoi – forse erano 18 – dicendo loro, nello spogliatoio, timor animi auribus officit – la paura dell’animo è di ostacolo alle orecchie. Che vale molto di più di un quattro-tre-tre, a volte».
Silenzio. Chissà, forse erano 18.