Ci voleva Gianni Mura per scrostare la vicenda Trapattoni da un perbenismo francamente insopportabile. L’ex commissario tecnico della Nazionale (qualifica riduttiva per un mostro sacro del calcio come il Trap) è stato contestato e deriso per le sue telecronache nature alle partite della Nazionale, criticato anche da giornalisti noti di Repubblica come ad esempio Maurizio Crosetti. Ecco che cosa scrive oggi Mura nella sua consueta rubrica domenicale “Cattivi pensieri”.
“Porca pupazza (dicesi variante parafonica), non ci fossero i social network il porca puttana in diretta del Trap me l’ero perso. E anche il porco zio. E sì che stavo attento. Doveva stare più attento lui, con un microfono in mano. O almeno leggere “Semantica dell’eufemismo”, di Nora Galli de’ Paratesi. Edito da Giappichelli nel 1964 non vendette molte copie. Di più, col titolo “Le brutte parole”, ristampato da Mondadori nel ‘69. Le brutte parole, le parole-tabù, si evitavano usandone di colte (peripatetica) o con metafore (lucciola). O con varianti parafoniche: cribbio, cacchio, acciderba e accipicchia, perché pure dire accidenti sembrava irrispettoso. L’innocente cavolo prese il posto pensato per altri. Da qui, cavoli vostri, cavoli amari o acidi, incavolarsi.
Sia chiaro, non è una difesa d’ufficio del Trap, non ne ha bisogno e ha esperienza sufficiente a difendersi da solo, come ha già fatto. È una riflessione sugli intollerabili livelli di perbenismo raggiunto, in questo caso, sui social network. In tv, anche in prima serata, si ascolta molto di peggio e non si registrano massicce levate di scudi. A forza di rimbalzare, l’ultima inezia diventa enorme. Altra riflessione. Faccio bene o male a tornare sull’argomento creando un altro rimbalzo? Ormai ci sono e aggiungo che il politically correct nell’80% dei casi è una schifezza. O, se preferite, una tuta mimetica fatta indossare alle parole scomode. Effetti collaterali per non dire uccisione di civili, pressione corporale per non dire tortura, piani di alleggerimento per non dire licenziamenti. Il Trap è da una vita iscritto al partito del “parla come mangi”, non esiste tessera ma solo pratica. Non è una seconda voce tradizionale. Commenta da tifoso, come farebbe da una poltrona di casa sua o da un tavolino del bar Sport. Può piacere o non piacere, come tutti quanti, ma evitiamo, se possibile, gli eccessi.