L’altro ieri notte, gli Stati Uniti d’America hanno vissuto uno degli eventi sportivi più importanti degli utlimi anni. La grande star dell’Nba Kobe Bryant ha giocato la sua ultima partita di basket con la maglia della squadra della vita, i Los Angeles Lakers. Una passerella, una cerimonia organizzata nei minimi dettagli. Del resto, siamo nell’era dei social e delle telecamere ovunque, difficile immaginare una gestione migliore dell’avvenimento dal punto di vista strettamente mediale. Poi siamo in America, quindi al top dal punto di vista della comunicazione.
Però, c’è stata anche una partita. Una partita “vera”, in cui Kobe Bryant ha messo a referto 60 punti. Una partita vinta dai Lakers per 101-96, con i quattro punti decisivi segnati dal Black Mamba negli ultimi secondi. Grazie a questo score, Bryant è diventato l’unico giocatore assieme a Bob Pettit ad aver segnato più di 40 punti a tutte le squadre in NBA. Aggiungerci gli altri record (431 partite sopra i 30, 135 partite sopra i 40, 26 sopra i 50, 6 dai 60 in su) è anche superfluo. Non è superfluo, per noi che siamo Il Napolista, aver visto questo post sui social.
Oltre all’ammirazione reciproca che ha sempre legato Kobe al Pibe de Oro (Bryant ha anche dichiarato che Maradona era uno dei suoi idoli e che nel suo periodo italiano ha seguito molto la sua avventura al Napoli), ci è piaciuto pensare che quello di Maradona sia stato anche un post pieno così di sana invidia. Per una passerella d’addio bellissima, fatta da un atleta ancora in forma in mezzo ai suoi tifosi di una vita.
Maradona ha avuto un omaggio simile, una bellissima giornata di sole, calcio ed emozioni a Buenos Aires, nello scenario di una Bombonera piena in ogni ordine di posto. Era il 30 novembre 2001, ed erano quattro anni che Maradona non giocava una partita di calcio. E poi, non era Napoli.
Più che immaginarci un altro tipo di gara d’addio, magari giocata con un fisico ancora atletico ed effettivamente subito prima del ritiro, abbiamo voluto pensare a cosa sarebbe successo se, il 26 maggio del 1991, l’ultima giornata dell’ultimo campionato giocato in Italia da Maradona, Diego fosse stato ancora in campo. Fu un Napoli-Bologna 3-2, con gol di Zola, Careca e Incocciati. Il Napoli non riuscì a qualificarsi per la Coppa Uefa. Questa partita qui, con una malinconia niente male che trasuda dal commento di Italo Kuhne.
Il Maradona che aveva lasciato l’Italia dopo la notizia della positività all’antidoping (Napoli-Bari, 17 marzo 1991) non avrebbe forse cambiato i destini di quella squadra che non si sarebbe comunque qualificata alla Coppa Uefa. Però avrebbe cambiato quella partita, anche con un contratto al Boca o all’Olympique di Marsiglia già firmato. Il San Paolo, innanzitutto, sarebbe stato pieno all’inverosimile. Senza seggiolini rossi vuoti, senza spazi non occupati da tifosi vestiti d’azzurro. Un po’ come successe nel 2005, quando l’addio al calcio di Ciro Ferrara lo riportò per la prima volta a Fuorigrotta.
Uno striscione immenso, lungo tutta la curva B, con una maglia numero 10 e un “Grazie Diego” a suggellare sette anni di amore, di venerazione, di totale idolatria. Napoli l’ha fatto dopo, nel 2000, prima di un Napoli-Juventus 1-2 che riportò gli azzurri a contatto con la Serie A dopo due anni di cadetteria. L’avrebbe fatto anche quel giorno, per un Napoli-Bologna senza senso.
Qualcuno avrebbe pianto. Forse tutti. Soprattutto quando, all’85esimo, Bigon lo avrebbe richiamato in panchina per sostituirlo con Ivan Rizzardi o Giorgio Venturin. Lui avrebbe fatto il giro del San Paolo scalzo, come fece dopo un Napoli-Juventus dell’anno precedente. A prendersi l’ultimo applauso del suo pubblico, del suo stadio, della sua gente. La partita si sarebbe fermata lì, come quella tra Juve e Atalanta del 2012 in cui Del Piero segnò il suo ultimo gol nella sua ultima partita in bianconero e poi lasciò il posto a Simone Pepe. Ecco, forse quello è l’esempio perfetto da cui prendere spunto per immaginare cosa sarebbe potuto essere Napoli-Bologna. E che non è stato, perché ci sono tante cose che nella vita non si possono gestire nonostante ti chiami Maradona. Singolare ma anche significativo il fatto che Alex Del Piero, proprio lui, fosse allo Staples Center a vedere coi suoi occhi Kobe Bryant che finisce come lui. Come un atleta, un fuoriclasse. Ha scritto: «So cosa hai provato». Vero.
Bello immaginarsi anche il dopo, di questo Napoli-Bologna che non è mai esistito: l’intervista di Galeazzi nello spogliatoio, ovviamente col cappello alla Charles Bronson; e poi la tristezza e le discussioni e le polemiche a Napoli, quelle sì, sul non essere riusciti a trattenerlo ancora. Roba di calcio, che ci sta. Non come quello che è avvenuto in realtà, che ha immalinconito il finale di una storia bellissima.
Maradona si sarebbe commosso, avrebbe saltato sotto una curva che non cantava ancora “Un giorno all’improvviso”. Lo avremmo visto poco, perché non c’erano i social, le immagini le davano alla Domenica Sportiva e poi al massimo oggi, in un filmato passato dalle videocassette a Youtube. E avremmo sorriso, forse un po’ di più di quando lo facciamo oggi pensando a Maradona. Il nostro Kobe Bryant, il nostro Del Piero. Meglio di questi qui, perché di Maradona ce n’è uno solo. L’unica cosa negativa, forse, è che non avremmo visto lo stesso post sul profilo Facebook di Diego. Nessuna invidia per lo Staples, perché Diego ha avuto il San Paolo. E una festa dopo Napoli-Bologna che non è mai esistita.