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Il Napoli di Sarri è il più bello di tutti i tempi, finalmente una squadra

Il Napoli di Sarri è il più bello di tutti i tempi, finalmente una squadra

Eravamo agli inizi degli anni ’70, quelli della mia generazione ancora si disputavano le ricercatissime figurine dei calciatori del Napoli “a pacchero”. Chi le aveva non le cedeva mai in cambio di quelle dei giocatori delle squadre avversarie, normalmente metteva le foto doppione di un proprio beniamino nel diario di scuola, o le attaccava al muro nella propria cameretta con la colla al sapore di mandorla – così diceva quel compagno di scuola che la mangiava – o al massimo, appunto, se la giocava in cambio di un’altra di un nostro giocatore in quel gioco da scugnizzi.

In un mondo che stava cambiando, le università americane occupate, quelle europee in subbuglio, la guerra in Vietnam che volgeva al suo termine, anche il calcio stava vivendo la sua rivoluzione. Partendo dalla terra di Spinoza. Era l’Olanda di Neeskens e Rensenbrink, di Cruijff e Krol, che alla fine non vinse niente, anche per qualche torto arbitrale, ma è rimasta negli occhi del mondo come la squadra più bella di tutti i tempi.

E anche a Napoli, la città più meticcia e cosmopolita d’Italia, la più anticonformista e sensibile all’incanto della bellezza e della novità, ci fu qualcuno che disse:

“Facciamo come in Olanda”.

Luis Vinicio, detto ‘o Lione, attaccante indimenticato della squadra azzurra, alla sua prima esperienza come allenatore nel massimo campionato sulla panchina del Napoli, aveva convocato i giocatori alla prima giornata di ritiro con questa proposta.

“Ma se non vi va, non ne siete convinti, domani do le dimissioni e torno a casa”.

“Questo è pazzo” disse sottovoce Totonno Juliano, rivolto a Bruscolotti. Nella notte i giocatori si riunirono e discussero tra loro, Juliano nel frattempo aveva già cambiato idea.

“Quegli anni sono stati i più belli della mia vita, quando giocavo mi divertivo, fu bellissimo” racconta oggi Palo ‘e fierro, poi passato alla storia come il più implacabile difensore ad hominem della storia del Napoli, capitano della squadra prima di Maradona, suo fedele scudiero negli anni dei trionfi.

Eppure con Vinicio pure il giovane Bruscolotti, appena arrivato dal Sorrento, marcava a zona, faceva diagonali, sovrapposizioni, e pressing: era diventato il Suurbier del Vesuvio.

Quel Napoli, che pure subì un umiliante 6-2 in casa dalla Juve, che pure si giocò e perse la sua ultima chance per vincere lo scudetto al Comunale di Torino, subendo un gol negli ultimi minuti dall’ex Altafini, da allora e per sempre Core ‘ngrato, è rimasto nella memoria di tutti come “il più bel Napoli della storia”.

Pure più bello di quello di Maradona.

È vox populi.

Sì, perché il Napoli di Maradona, dopo quel Mondiale vinto praticamente da solo – Lui riceveva palla da Burruchaga, inventava genialate, al massimo la dava a Valdano, ma in sostanza c’era Lui e tutti gli altri difendevano – era rigidamente impostato su base italianista: catenaccio & contropiede, primo non prenderle, difesa a oltranza, marcature ad hominem, talora a tutto campo.

Sì, va bene, anche il Napoli di quell’epoca adottava una specie di 4-3-3, con Romano nel ruolo di Jorginho, De Napoli e Bagni a fare Hamsik e Allan, e davanti un tridente delle meraviglie, con Caffarelli Callejon della situazione o la indimenticabile MaGiCa. Ma la bellezza del Napoli di Maradona in fondo era l’improvvisazione del genio, non un’idea di gioco. Ce ne accorgemmo quando quel Napoli, che subiva inevitabilmente pure le sregolatezze del suo eponimo, si trovò ad affrontare le compagini europee, in quella che allora si chiamava ancora Coppa dei Campioni.

E da allora, la domanda che mi rode il cervello (e non credo solo il mio) è la seguente: cosa avremmo potuto fare, quanto avremmo potuto vincere, in quegli anni, se invece di praticare l’anticalcio italianista, di fare la “squadra femmina”, ecc., come teorizzava Gianni Brera (già acerrimo nemico di Vinicio), avessimo avuto Careca e Maradona ma pure un nostro gioco?

Cosa avremmo vinto e quanta bellezza avremmo visto?

Ma poi, che cos’è la bellezza nel calcio? È solo l’ebbrezza della vittoria, comunque conquistata?

Questa è invece la domanda che inevitabilmente ci poniamo in questi giorni, di fronte al Napoli di Sarri. Napoli di Sarri, che sembra farci rivivere la favola del Napoli di Vinicio.

Di nuovo un allenatore alla sua prima esperienza importante, di nuovo un allenatore tifoso “malato” della nostra squadra, di nuovo un allenatore con idee sue, completamente opposte al mainstream italico. E la visita del vecchio Lione a Castelvolturno qualche giorno fa, l’abbraccio tra i due, è sembrata qualcosa di più di un passaggio di consegne, di una accettazione di eredità. È stato come riannodare il filo della memoria, di una storia fondata sull’amore per Napoli, la lealtà sportiva e la bellezza del gioco.

Sì, perché la bellezza del calcio esiste. Anche se questa bellezza è difficile da definire. Come per il caso del Napoli di Sarri ha forse a che fare col concetto di armonia, come la musica. E come in una composizione polifonica più voci indipendenti procedono in direzioni parallele o anche opposte, ma tutte con un senso ben preciso e determinato dal compositore; allo stesso modo il Napoli di Sarri si muove sul campo in modo ordinato e armonico, ciascun giocatore definendo figure e situazioni di gioco funzionalizzate al tutto.

La differenza col gioco all’italiana, fondato invece su duelli uomo contro uomo, è evidente – forse si può ancora avanzare un parallelismo musicale e proporre la contrapposizione tra monodia e polifonia come base della distinzione tra gioco all’italiana e gioco totale, ma non mi dilungo. E c’è una certa differenza anche col Napoli di Benitez, che difendeva o attaccava per reparto, non col complesso della squadra.

Nel Napoli di Sarri, la bellezza è data innanzitutto dalla percezione dell’armonia visiva del gioco, esattamente come certe partiture di Bach anticipano visivamente il risultato strumentale. In questa armonia le singole giocate, il talento, la classe di ogni calciatore, si incastonano perfettamente nel tutto e nella partitura predisposta dall’allenatore, esattamente come la genialità di un grande interprete rifulge meglio nell’esecuzione di una grande opera musicale, piuttosto che in quella di un autore mediocre o minore.

Ciascun giocatore recita il suo spartito, canta la sua aria, in ogni momento della partita, senza pause: ognuno è comprimario e allo stesso tempo protagonista di una partitura collettiva che non lascia spazio alla noia.

E poi c’è qualcosa – permettetemi – nella bellezza del Napoli di Sarri che ha a che fare pure con la filosofia, precisamente con l’epicureismo. E Napoli, si sa, è stata capitale anche di quella antica dottrina della vita, da Sirone, a Filodemo, a Virgilio.

Ora, per gli epicurei, checché se ne dica, il piacere coincideva innanzitutto con l’assenza del dolore, con la pena risparmiata.

Ed io non riesco non a pensare anche a questo, di fronte a partite, come quella di ieri, dominate attraverso un possesso insistito di palla, che non offre possibilità agli avversari, che esalta ma anche acquieta gli spettatori e i tifosi: “il gol prima o poi verrà, e se pure non verrà, la palla ce l’abbiamo noi, è difficile togliercela, non ci possono far niente…”.

Tecnica calcistica e sapienza tattica, armonia di gioco e sterilizzazione dell’avversario attraverso il possesso palla, a uno, massimo due tocchi. Si divertono i giocatori, come si divertiva Bruscolotti nel Napoli di Vinicio, si divertono gli spettatori – tutti gli spettatori: i critici onesti, gli appassionati, non solo i tifosi del Napoli. Universalità del Bello, come voleva Benedetto Croce, ma anche puro godimento da dolore risparmiato, come prescriveva a Posillipo Sirone.

Altro che gli “spantechi” a cui eravamo abituati i tifosi del Napoli!

Questo per me è il Napoli più bello di tutti i tempi.

Anche più bello di quello, leggendario, di Vinicio. Perché con uno spartito non troppo dissimile, oggi sono migliori gli interpreti – non me ne vorranno il Gringo Clerici, Burnich, Totonno Juliano e lo stesso Palo ‘e fierro.

Sarri, come è stato già detto un milione di volte, ha rigenerato Albiol e Jorginho, portato Koulibaly e Hamsik su livelli continentali, fatto esplodere Insigne e Higuaìn, ormai un fuoriclasse davvero da Pallone d’oro. A cui si aggiungono tutti gli altri, non meno importanti nella filosofia del gioco sarriano. Perché questa è una squadra, non una casuale somma algebrica di individualità.

Forse è una lezione anche per la città. 

Peppe Bruscolotti ha raccontato quel primo incontro e gli anni passati con Vinicio qualche settimana fa a “Campania Sport” su Canale 21. Le citazioni sono state a memoria.

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