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Fiorentina-Napoli è Chiarugi che fa imbestialire Zoff e Sormani che vendica gli azzurri

Uno aveva un fisico da corazziere, alto, impostato, petto in fuori, tecnica sopraffina, la palla correva e parlava ai suoi piedi e scorreva con la naturalezza di un ruscello. L’altro era piccolo e sgusciante, veloce, calciava spesso ad effetto e beffava i portieri con traiettorie anche impossibili. Entrambi hanno fatto del calcio la loro ragione di vita, entrambi hanno scritto pagine di storia tra Fiorentina e Napoli. Purtroppo entrambi hanno dato poco al Napoli, solo 7 reti in due stagioni.

“Non sono mai riuscito a considerarlo un avversario. Mi veniva istintivo di pensarlo come un nemico. Sono due concetti molto diversi: l’avversario è uno come te, che gioca secondo i tuoi canoni sportivi. Il nemico, invece, è quello che va oltre le regole, scritte e non scritte, che cerca di fregare tutti non con la giocata, ma con la sceneggiata” ecco cosa scrive Zoff nella sua biografia “Dura solo un attimo, la gloria”. Stilettata dedicata a lui, Luciano Chiarugi. Ma perché? Da dove nasce tutto questo astio anche a distanza di tanti anni? Il “fattaccio” viene fuori proprio dopo un gol che Chiarugi segnò al Napoli quando era alla Fiorentina. Dopo aver bucato Zoff, “Cavallo pazzo” fece una corsa scriteriata sotto la curva Ferrovia, da invasato, come se avesse segnato la rete decisiva nella finale dei Campionati del Mondo. Zoff non lo ha mai perdonato anche se Chiarugi ha cercato, proprio l’anno scorso al Guerin Sportivo, di attenuare i toni: “È vero, ero stravolto dalla gioia, se la Curva Fiesole fosse stata aperta sarei arrivato fino alla stazione di Campo di Marte, ma non c’era niente di irrispettoso. Quando si è giovani si possono commettere degli errori, in quel momento esplose la felicità pura, avevo fatto gol a un campione come Zoff e in questo c’era ancora più gusto”.

La partita incriminata è, appunto, Fiorentina Napoli del 10 marzo 1968. I viola finiranno quarti dietro al Napoli secondo ma quella ‘maledetta domenica’ schiacciano gli azzurri di Canè e Juliano, Sivori ed Altafini, con una doppietta di Maraschi e appunto una rete di Chiarugi che, proprio per quella corsa forsennata sotto la curva, iniziò ad essere chiamato “Cavallo pazzo”. Era un’ottima squadra quella Fiorentina, l’anno dopo avrebbe vinto lo scudetto con una ossatura che partiva da Albertosi e Ferrante in difesa, Bertini, Merlo e De Sisti a centrocampo e la coppia Chiarugi e Maraschi in attacco. Luciano il “riccioluto” aveva solo 21 anni ma già si portava dietro quella fama che l’arbitro Michelotti fece diventare “chiarugismo” (altro che “petaloso”, nel calcio si è inventato di tutto e di più) quando disse che era un cascatore, uno che in area si buttava, ci provava insomma. In effetti l’ala viola era uno rapido, anche se non aveva un grande fisico, usava entrambi i piedi,sapeva calciare bene le punizioni, qualche volta ha fatto anche gol da calcio d’angolo. Entrava in area con la velocità della luce e al minimo contatto cadeva giù. Gli arbitri a volte ci cascavano e a volte no ma l’etichetta “cascatore” gli è rimasta. E Luciano non si è smentito anche a distanza di tempo dicendo: “Eh, sì, il profumo dell’erba mi è sempre piaciuto”.

Il caso volle che Luciano Chiarugi, con l’ennesimo ribaltone napoletano che riportò Pesaola sulla panchina azzurra al posto di Vinicio nel 1976-7, fu acquistato dal Napoli. Ovviamente, regista dell’operazione il “Petisso” che già lo aveva avuto a Firenze nell’anno dello scudetto. Grandi progetti, la coccarda della Coppa Italia vinta l’estate precedente sulla maglietta, il tandem curioso con Savoldi, sempre più inserito, dopo i timori iniziali, nell’ambiente Napoli. Il progetto era molto chiaro. Il toscanaccio di Ponsacco doveva dribblare e fare i cross per la capuzzella di “Beppe-gol” con Speggiorin scalpitante alle spalle. Non andò così, Chiarugi rimase due anni mettendo a segno solo 7 reti ed il Napoli lo svendette alla Sampdoria da dove iniziò una parabola discendente. Ormai il meglio di sè lo aveva già dato, in poco più di dieci anni era stato “Cavallo pazzo”, aveva vinto uno scudetto, si era preso gioco di Zoff, aveva fatto qualche comparsata in Nazionale, aveva litigato pesantemente con Rivera al Milan (uno dei motivi del trasferimento al Napoli), aveva giocato una buona prima stagione al Napoli e poi il declino.

Curiosando tra le ultime uscite in libreria, è balzata agli occhi anche l’autobiografia di Angelo Benedicto Sormani, “Io sono il pallone”, un titolo che è tutto un programma per un giocatore che in patria, in Brasile, era considerato il “Pelè bianco”, un’etichetta che si portò dietro fin dal suo arrivo in Italia, al Mantova. Ebbene le sfide tra azzurri e viola sono anche legate al suo nome ed in particolare ad una vittoria al Franchi del 25 ottobre del 1970. Dall’altra parte, ovvio, c’era anche Chiarugi e in porta al Napoli ancora Dino Zoff. L’attacco del Napoli recitava Sormani, Juliano, Ghio, Altafini ed Improta ed il rincalzo era Hamrin, vale a dire quando non giocava il “baronetto di Posillipo” o il carneade Ghio, il Napoli aveva un attacco da geriatria, Juliano escluso. Eppure quella squadra arrivò terza e la vittoria di Firenze fu un bel “buongiorno che si vede dal mattino”. Sormani bucò Superchi e diede una bellissima soddisfazione ai 10000 napoletani presenti al Comunale, una vittoria a suo modo ‘epica’ perchè fece titolare, sulle pagine del “Calcio Illustrato”, “Sormani catapulta il Napoli allo scudetto”. Anche in quella occasione, come con Chiarugi, il Milan e Nereo Rocco sembravano essersi disfatti del campione brasiliano ed i tifosi napoletani temettero un altro caso Nielsen , il giocatore che arrivò rotto e se ne andò…rotto. Insomma Sormani approdò a Napoli tra la diffidenza generale ma pian piano, col lavoro e la serietà che lo aveva sempre contraddistinto, conquistò le simpatie dei tifosi. Infatti, nella sua autobiografia afferma che “andare a Napoli mi era sembrata come il cimitero degli elefanti. Per fortuna mi sono dovuto ricredere. Ero contento di giocare in maglia azzurra, ho trovato un ambiente ideale”. Il legame con Napoli si interruppe poi quando decise di andare proprio a Firenze dove rimase un solo anno per poi chiudere la carriera a Vicenza dove ancora oggi è idolatrato quasi ai livelli di Luis Vinicio. Ma a volte la palla fa un giro lungo, una traiettoria e ritorna al punto di partenza. Ecco perchè, quando nel 1980 Ferlaino doveva ridare un assetto al settore giovanile del Napoli, chiamò proprio lui a guidare la Primavera. Con gli azzurrini Angelo Benedicto rimase 5 anni gettando poi le basi di quella fucina di talenti campani che andranno a far parte del Napoli di Maradona. Sormani, un talento, un campione vero che ricordiamo ancora con molto piacere. Perchè se uno, nella sua autobiografia, mettendo l’accento sull’ambiente napoletano, scrive “il magazziniere portava sempre il caffè al campo, lo preparava negli spogliatoi, faceva il caffè in ogni momento, ci mancava addirittura che lo portasse in campo tra un tempo e l’altro” vuol dire che non ha dimenticato la città. Ovviamente nel 1970 il magazziniere non era Starace ma la tradizione del caffè esisteva già allora. Succede solo a Napoli. (foto Archivio Morgera)

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