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La migliore risposta è stata quella del San Paolo in festa nonostante la sconfitta

La migliore risposta è stata quella del San Paolo in festa nonostante la sconfitta

Questa la dovevo scrivere. Appena sveglio, ripensando alla lite da campo e alla sceneggiata mediatica andata in onda su Rai Sport ieri. Innanzitutto, i vari cronisti erettisi a giudici prima di dare la parola a Sarri, prendendo come metro di giudizio il comportamento sopra le righe di Mancini, che non ha mai osato inalberarsi così ai microfoni né è apparso mai così scosso. In altre parole: basta il tecnico dell’Inter per appurare la verità. Chi se ne frega di ascoltare l’altra campana? Peccato che sia un metodo iniquo oltre che bugiardo: chi non ricorda Mancini che alzava le mani su Balotelli durante un allenamento al Manchester City? Fu grazie a un paparazzo che la notizia uscì fuori e il tecnico non volle commentare, così come non volle commentare il litigio di un anno fa tra lui e Osvaldo, durante il quale quest’ultimo lo aggredì, dopo un pareggio con la Juventus. Anzi, allora l’unico commento fu addirittura: “I panni sporchi si lavano in famiglia”.

Allora perché due metri e due misure? Perché il litigio tra allenatori accaduto ieri merita di essere pubblicizzato o di dare scandalo? Chiunque conosca i toscani, come i campani, sa che non la mandano mai a dire. Chiunque conosca anche un minimo Maurizio Sarri, e la sua spontaneità, e la sua sincerità nel modo di intendere il calcio e nel comunicare con il mondo esterno, sa che non è mai in malafede. Certo, si potrà discutere sul contenuto di quell’offesa, perdendosi in discussioni filologiche: dubito che il tecnico del Napoli abbia voluto cimentarsi in un’offesa di stampo volutamente sessista (e non “razzista”, come dice Mancini). E dubito che un insulto verbale dovuto a uno scatto d’ira sia più grave di uno scambio di schiaffi o di spintoni. Viene da chiedersi allora per quale motivo Mancini abbia sentito il bisogno di esternare il contenuto di un’offesa che, a meno che fino a ieri non abbia giocato solo nel campetto della parrocchia, avrà ascoltato e probabilmente ricevuto migliaia di volte in tutte le squadre in cui ha militato.

La risposta che mi sono dato è amara ed è politica. Di politica calcistica, almeno. L’Inter è una squadra a cui è andata fin troppo bene finora: il suo calcio old school e le spese abnormi tra ingaggi e acquisti avrebbero dovuto far raggiungere risultati decisamente superiori e in più breve tempo. Invece il tecnico neroazzurro si ritrova in affanno in classifica e verosimilmente annichilito dalla bellezza del gioco di altre squadre, che magari sono fornite di più fuoriclasse o addirittura di nuovi arrivati, ma che non usano metodi catenacciari (vedi Napoli e Sassuolo). Se le armi del campo e della tattica non bastano a fermare la brillantezza di squadre che non si pensava capaci di raggiungere tale valore tecnico, ecco che entrano la politica e le insinuazioni mediatiche mirate a tentare di destabilizzare, creare scompiglio, fomentare il dissenso.

Aggiungiamo poi un altro elemento. Ogni domenica nelle curve di Juventus, Verona, Inter e chi più ne ha più ne metta si sentono cori che invocano l’esplosione del Vesuvio: non ho mai sentito nessuno, né Mancini né tantomeno Mazzocchi e soci impostare un’intera puntata della sua trasmissione sul caso-razzismo (e quello sì che è vero razzismo).

Allora, perché non tenere in considerazione tutto questo, al di là degli scoop sensazionalistici e superficiali del momento? Evidentemente Napoli dà fastidio e non bastano i catenacci, le decisioni arbitrali a sfavore o altre soluzioni tattiche a fermarlo. Se Sarri non merita di stare nel mondo del calcio, lo merita il manesco Mancini? E, soprattutto, i cronisti di Rai Sport meritano di stare nel mondo del giornalismo? La migliore risposta è stata quella del San Paolo in festa, a cantare quello che ormai è divenuto l’inno della squadra, nonostante la sconfitta. In ogni caso, #iostoconsarri. Sempre.

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