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Immobile, il calciatore con la valigia torna al Torino: l’Europa calcistica non fa per lui

Immobile, il calciatore con la valigia torna al Torino: l’Europa calcistica non fa per lui

È tornato a casa dopo appena un anno e mezzo. Partito con una valigia di speranze e l’idea di essere il nuovo Robert Lewandowsky, Ciro Immobile è di nuovo un calciatore del Torino. Sia pure in prestito. L’esperienza europea del calciatore di Torre Annunziata, rivelatosi nel Pescara zemaniano di Verratti e Insigne, non è finita come lui avrebbe voluto. Parole come fallimento sono probabilmente troppo crude, fatto sta che sia a Dortmund sia a Siviglia Immobile non ha lasciato il segno. Andato via diciotto mesi fa con i galloni di capocannoniere, riabbraccia l’Italia nella speranza di ricostruirsi.

La stagione che sembra proiettarlo nel calcio che conta è quella 2013-2014. Nel Torino di Giampiero Ventura, in comproprietà: il cartellino è metà granata, metà bianconero. È reduce da un’annata mediocre nel Genoa: 5 gol in 33 partite. Con la maglia che fu di Pulici e Graziani, Ciro e Cerci si esaltano. Immobile vince la classifica cannonieri con 22 reti, appena quattro in più di quelli segnati quest’anno da Gonzalo Higuain nel solo girone d’andata. Cesare Prandelli lo porta ai Mondiali in Brasile e lui ci va da giocatore del Borussia Dortmund. Si è trasferito alla corte di Jurgen Klopp con un contratto quinquennale. Per lui i tedeschi hanno versato quasi venti milioni di euro nelle casse del Torino che nel frattempo lo aveva definitivamente riscattato dalla Juventus.

Ai Mondiali gioca due partite (su tre): venti minuti contro l’Inghilterra e settanta contro l’Uruguay (la prima e unica da titolare) nella sfida che ci estromette. Esce per crampi quando siamo ancora sullo 0-0 (perderemo 1-0) e fa posto a Cassano. Nessuno gli imputa nulla, ci mancherebbe. In quel disastro il colpevole non è certo lui. Prandelli si dimette e sul banco degli imputati finisce, e quando mai, Mario Balotelli.

Immobile ha una stagione per rifarsi. Non sa che ad attenderlo c’è la peggiore annata del Dortmund di Klopp, che conoscerà persino l’onta dell’ultimo posto in classifica. Eppure comincia bene: il 13 agosto 2014 è al centro dell’attacco nella SuperCoppa di Germania contro il Bayern. Non segna ma gioca tutta la partita. Il Dortmund vince 2-0, gol di Mkhitaryan e Aubemayang. Anche l’esordio in Champions è di quelli da ricordare: vittoria 2-0 sull’Arsenal e gol. Ciro sembra proiettato a vincere la sua scommessa. In estate aveva dichiarato di non temere l’ambiente tedesco, di essere abituato ai sacrifici. Non sarà proprio così.

Il lungo inverno del nord lo soffrirà eccome. A chiudere definitivamente un rapporto mai nato, ci pensò lui con un’intervista a Sport Week, settimanale della Gazzetta dello Sport, in cui confermò le difficoltà a integrarsi senza risparmiarsi qualche frecciata ai compagni e alle rispettive mogli che non avevano aiutato la sua. La fredda Germania non lo aveva compreso ma non voleva arrendersi. I tedeschi non gradirono, la Bild lo accusò di essere pigro e di essersi fatto notare in città unicamente per le sue trasgressioni automobilistiche in Ferrari. La stagione finì con dieci gol, tra Bundesliga e le coppe, e soprattutto un amore mai nato.

Trasloca. Va in prestito al Siviglia di Emery. Dove si ripete il modello Dortmund. Anche qui parte bene, entra e serve un assist decisivo nella Supercoppa europea persa 5-4 contro il Barcellona. Poi, però, progressivamente si spegne. Un sussulto contro il Real Madrid e poco più. Sei gol in tutto: quattro in Liga e due in Coppa del Re. Quando al Torino scoppia la grana Quagliarella, non ci pensa su due volte. L’Europa non fa per lui, si ritorna a casa.

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