Caro Mister Sarri, nel giorno in cui ci ha insignito del diploma di campioni d’inverno il tifoso deve porgerle le sue più sentite scuse, e ci perdoni anche il ritardo, ma si sa, Boban cellà insegnato, a toccar ferro spesso non si sbaglia, e non fa niente se è peccato. Ci perdoni annanzitutto lo scetticismo iniziale, quello che albergava nella mente del tifoso già nei giorni del preritiro per intenderci, proprio allorquando il fantasma di Ciccio di Nonna Papera ancora tormentava i sogni di gloria azzurri e tosto il pensier correva ad una nuova stagione di transito forzato e di mortificante ridimensionamento, nell’essere la scelta ricaduta su una guida sì emergente e lusinghiera di risultati, ma pur sempre maturati nella sonnacchiosa provincia etrusca ché tuttaltra cosa assai ben diversa è se vi pare dall’ambiente che si respira all’ombra del Vulcano, ma lei lo sapeva bene.
Si è presentato in sordina, col faccione tetro da operaio di cui mai ha malcelato vanto e orgoglio, subito ha dovuto incassare fischi, critiche e diffidenze, restando imperturbabile come solo i veri masticatori di calcio sanno fare. Umile fantino per Varenne, bucaniere in sella alla Santa Maria, tassista su una monoposto di formula uno, pilota di giostrine al comando di un jumbo jet, maestrino d’asilo in cattedra alla Sorbona, timido geometra di quartiere chiamato a riprogettare le fondamenta di un castello imperiale dal glorioso passato, ma pericolosamente scricchiolante, quante ne ha dovute sentire e sorbire dopo quel terribile esordio in Emilia, laddove pure l’innominabile aveva fatto bottino pieno senza il pretesto di carichi di lavoro da smaltire, meccanismi da oliare e avversari in fondo più rodati di quanto previsto.
Ha incassato in silenzio, bisogna darle atto, ha rimuginato sicuramente a lungo su ciò che potevasi migliorare, e piano piano, mattoncino sopra mattoncino, ha edificato una fortezza su cui grandi e piccole inevitabilmente hanno dovuto sbattere non senza riportare seri danni, convincendosi poco a poco di quale fosse, quest’anno, la vera squadra da battere. Ha predicato calma e gesso ai quattro venti, che guai ad abbassare la guardia e puntualmente ha avuto ragione quando la troppa sicurezza nei propri mezzi ha tradito i ragazzi in quella Bologna che ad oggi ancora rappresenta la ferita più grande di questo entusiasmante torneo di apertura, ha dispensato schemi e tattiche senza bisogno di indossare la toga, per quelli come lei che hanno provato sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e lo salire per l’altrui scale delle campagne acquisti al risparmio è bastato riporre la tuta alla sera e rimetterla al mattino, lanciando messaggi cifrati in nuvolette di fumo a chi si ostinava a non credere nel miracolo, nelle strombazzanti goleade europee e nella stupefacente autorevolezza mostrata in campionato, nonostante l’ostilità di commentatori e arbitri troppo stizziti nel vedere gli attuali detentori annaspare dove invece meritare avevano dimostrato di dover stare.
Ha rifondato mentalmente una squadra, ha rievocato i fasti del ’90, rigenerato gente che sembrava già destinata a Casa Scarlatti, ha spiegato a Marek quanto ancora poteva e doveva dare per questi colori, ha reso Albiol un giocatore di calcio, lanciato Ghoulam, ribattezzato Pepe, catechizzato Calle, tenuto a bada Lorenzigno, sguinzagliato Allan, corteggiato Giorgigno, dosato Gabbia, consacrato Pipita. Ci ha liberato dal complesso di Davide e Golia, certo ha trovato davanti a lei ragazzi straordinari che avrebbero fatto gettare la bottiglia anche a Roberto Sevinho, ma diciamolo pure senza timore, caro mister, una successione di risultati del genere avrebbe fatto impallidire persino il vecchio Fibonacci, che non a caso tifava Fiorentina, e il merito è sempre e soltanto suo, le va dato atto. Ma prima di riprendere la corsa, prima di rituffarci a capofitto in questa incredibile avventura le giungano ancora una volta le nostre sommesse scuse e la nostra infinita gratitudine per quanto fatto, per aver dato finalmente sostanza al progetto: il tifoso non sa come andrà a finire, anche se adesso sarà impossibile svegliarlo dal sogno – e lei lo sa bene – con mezzo scudetto cucito sul petto.