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Il nuovo contrabbando, senza motoscafi né muschilli

Il nuovo contrabbando, senza motoscafi né muschilli

Sophia Loren è avanti con gli anni e non reggerebbe il ruolo di Adelina che nel bellissimo film di De Sica metteva al mondo, con la complicità di Marcello Mastroianni, figli con la cadenza di una catena di montaggio per evitare di finire in carcere come venditrice di bionde, ma ha proprio ragione Giuseppe Montesano a suggerire, magari a Tim Burton, di riproporre quella favola maledetta e chiedere ad Angelina Jolie di interpretare quel ruolo e quella donna che più di qualsiasi altra icona femminile ha consegnato alla storia l’immagine, valida ancora oggi purtroppo, di una Napoli che per mettere d’accordo pranzo e cena continua a scegliere di convivere con la illegalità.

È cronaca di questi giorni: il “ritorno” del contrabbando di sigarette ha spiazzato anche i cronisti più inclini al pessimismo e noi tra questi: pensavamo, dopo averlo vissuto, che non sarebbe più tornato, ma ora tocca fare i conti con un affare colossale, inferiore solo al traffico di droga. Con un fatturato di 4,4 miliardi di euro e un danno erariale che si avvia al miliardo. E con un esercito di corrieri in continuo aumento e molto più disposti al crimine rispetto ai muschilli di quaranta anni fa. Solo i contorni del quadro sono stati ritoccati. Mancano i bancarielli nelle strade del centro – in periferia li trovi ad ogni “pontone” di vicolo – ma il fenomeno è talmente grave da convincere la massima autorità istituzionale a scendere in campo per sollecitare una vigilanza più incisiva e una repressione più severa: Mattarella chiede «politiche di cooperazione nazionale e internazionale capaci di contenere le fonti di finanziamento illecite», ma dietro il linguaggio necessariamente paludato c’è una sonora strigliata agli organi preposti. Quarant’anni fa questo passaggio venne saltato e il contrabbando dilagò anche in forza dell’alleanza tra marsigliesi e confinati di cosa nostra “trasferiti”, con un provvedimento assurdo, nei comuni del Vesuviano dove, manco a dirlo, trovarono terreno fertilissimo per le loro esigenze. Quella che stiamo richiamando pescando nei ricordi fu, in realtà, una guerra finta perché vincevano sempre i contrabbandieri che nelle dimore prese in fitto all’ombra del vulcano addormentato installarono apparecchiature radio molto più sofisticate e potenti di quelle in dotazione alla polizia con le quali ascoltavano e anticipavano tutte le mosse degli sbirri. Al resto pensavano i picciotti camorristi che, manco a dirlo, non persero neanche un minuto e giurarono fedeltà ai mafiosi e ai lori soci d’oltralpe venuti a svernare dalle nostre parti.

L’uomo del compromesso mafia-marsigliesi-camorra fu Michele Zaza, il bandito che tentò di costringere Cutolo ad un patto di alleanza ma venne sdegnosamente respinto dal boss dei boss che non gli riconosceva alcuna autorità. Conseguenza del rifiuto fu l’inizio della mattanza che insaguinò – e quella, al contrario, fu una guerra vera e spietata – le strade di Napoli e della città metropolitana tra la fine degli anni settanta e il dopo terremoto. Michele Zaza, che era figlio di un pescatore procidano, fece comunque una carriera favolosa e arrivò a dialogare con i capi della cupola mafiosa che lo ritennero scaltro e affidabile. E sufficientemente ribaldo al punto da arrogarsi la capacità di lodare, in una intervista all’Ansa, l’onestà intellettuale del giudice Falcone. Si concesse una vita da nababbo tra la residenza in Costa azzurra e una villa a Hollywood e fu incoronato “re del Pallonetto”, venerato dalla plebe perché portava lavoro e soldi.

Altri tempi. Sul lungomare o a Punta Campanella non vediamo più sfrecciare i motoscafi blu inventati in un cantiere flegreo e capaci di correre a velocità pazzesche per raggiungere la nave-mamma ormeggiata al largo e a mare non si celebrano più i funerali di camorristi con tanto di assistenza del parroco, corone di fiori e sparo di mortaretti ma lo scenario di povertà e di ignoranza che ha reso possibile il dilagare di questo fenomeno non è cambiato anche se i nuovi adepti dialogano su Facebook, si scambiano i messaggi via whatsApp e vanno in ritiro con la squadra per assistere all’allenamento dei loro idoli. A impazzare è sempre cantanapoli e i canali di trasmissione sono molto più numerosi anche se più squallidi.

Che dire, manca solo che, come accadde allora, qualche esponente di governo chieda di chiudere un occhio sulle malefatte dei contrabbandieri perché il commercio delle bionde era, comunque, un male minore rispetto alle altre e più gravi attività criminali. Questo, per fortuna, non accadrà ma in chiave napoletana il ritorno del contrabbando e, soprattutto, i nuovi patti con le mafie dell’est europeo – le più feroci e anche le più organizzate – che sembrano avere il predominio di questo traffico mette i brividi. E va fermato in tempo. Prima di un’altra mattanza.
Carlo Franco

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