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Sarri e le “imparate di creanza calcistiche” impartite ai giornalisti che provano a sminuire lui e il Napoli

Sarri e le “imparate di creanza calcistiche” impartite ai giornalisti che provano a sminuire lui e il Napoli

Giornalisti vil razza pettegola. Un po’ di serena autocritica non guasterebbe. Sappiamo di chiedere l’impossibile alla categoria alla quale apparteniamo ma della quale, ormai, condividiamo poco o niente. Mi riferisco, lo avrete capito, alle domande che con ossessione degna di miglior causa vengono poste a Maurizio Sarri inseguendo la speranza di coglierlo in fallo o, peggio ancora, di costringerlo a risposte che valgono un titolo ad effetto. Sul passo indietro dal “suo” 4-3-1-2 al 4-3-3, per giunta in presunta esecuzione di un ordine impartito dal presidente De Laurentiis; sull’impiego solo occasionale e poco rispettoso del valore di Manolo Gabbiadini nonostante segni a raffica nei pochi minuti che gli vengono concessi; sull’entità e sull’opportunità del cosiddetto turnover. E, manco a dirlo, sugli acquisti da fare al supermarket di gennaio.

La scena è sempre la stessa, cambiano gli attori dialoganti, ma il copione è fisso: il “maestro” di Bagnoli – che a Figline Valdarno ha affinato un’arguzia genetica – ascolta, a metà domanda accenna ad un sorriso e alla fine risponde smontando, quasi al limite della mortificazione, gli interlocutori. Che non replicano, incassano e portano a casa, non un titolo, ma, come si dice a Bagnoli, una “imparata di creanza calcistica”. Per chi ascolta, soprattutto per chi ha navigato negli stessi mari, è uno spettacolo poco edificante e, per come risponde, se n’è stufato anche Sarri che preferirebbe parlare di calcio, non del sesso degli angeli calcistici.

Un segnale del suo fastidio professionale lo abbiamo colto quando il tecnico ha risposto piccato a una domanda di Paolo Condò – giornalista che lui, come noi, stimiamo per la competenza e la sobrietà della presenza – il quale in qualche modo aveva sminuito il valore della “manita” inflitta dal Napoli ai campioni di Danimarca. La sua risposta, un tantino stizzita, è degna di essere ripresa: «Quando noi vinciamo a suon di gol si dice sempre che gli avversari erano modesti, non che il Napoli ha giocato un calcio bello da vedere e ricco di gol. Quando abbiamo battuto la Juventus avete detto che si trattava di una squadra in disarmo, signori cosa dobbiamo fare per convincervi»?

Il senso è abbastanza chiaro: il Napoli, secondo Sarri, vince perché è forte a prescindere dal valore degli avversari. E vince perché ha assimilato alla perfezione gli schemi predicati in allenamento e mandati a memoria non solo dai titolarissimi ma anche dalle seconde linee. Gli ultimi a “inserirsi” sono stati il croato Strinic e il sempreverde Christian Maggio, vederli giocare – e segnare un bellissimo gol, come nel caso del capitano che è uno degli ultimi interpreti del calcio all’italiano ricco di sostanza e privo di fronzoli – è stato un piacere, lo stesso procurato dalla sicurezza che Chiriches garantisce alla fase difensiva con l’essenzialità dei suoi interventi. Oltre il valore degli avversari, insomma, ieri si sono capite due cose: innanzitutto doveva volesse andare a parare Sarri quando ha detto che con diciotto buoni elementi è possibile organizzare e portare a termine con successo un colpo di Stato calcistico. E, a seguire, il perfetto inserimento di Gabbiadini, Valdifiori e El Kaddouri nella manovra del collettivo azzurro. Per le sue abitudini, Sarri si è addirittura sbilanciato: «Vedrete, Manolo alla fine del campionato avrà dato alla squadra un sostanzioso contributo di gol e di presenze. Come Valdifiori e El Kaddouri che ha saputo adattarsi velocemente a movimenti che gli erano estranei».

A chiudere, un pensierino sul colpo di Stato. Sarri ha inteso rispondere ai rumors già clamorosi sugli acquisti al mercato di riparazione e sui campioni eventuali da inserire in un telaio che ha già una sua armonia: non ha bisogno né di campioni né tantomeno di innesti salvifici. Possono servire, invece, giocatori capaci di dare più completezza alla rosa e di garantire qualche alternativa in più. Soprattutto a centrocampo.

Tutto qui, chi ha “merce” da offrire deve farsene una ragione.
Carlo Franco

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