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Roma ha sempre protetto Totti il figlio del popolo. Per Napoli, invece, Insigne ha sempre qualcosa da farsi perdonare

“L’idolo disse: io penso
che in tutte quelle nuvole d’incenso
c’è una prova d’amore e de fiducia”

Quando Trilussa scrive questi versi, Roma ha già due squadre di calcio da otto anni. Siamo nel ’35. Il cuore laziale batte per Piola, dall’altra parte c’è Fulvio Bernardini. Forse la prova d’amore e de fiducia verso i suoi idoli calcistici da parte di Roma non è cambiata, neppure oggi che sono passati ottanta anni. Totti è l’esempio. Con l’eccezione di una giornata a Siena, circa dieci anni fa, non si registrano contestazioni all’idolo da parte del suo popolo. Neppure quando il capitano ha smesso di filare, nei giorni in cui il galoppo è finito ed è iniziato il trotto, neppure quando la giocata da fermo è rimasta quasi la sola possibilità con cui lasciare il segno sopra una partita. Su Totti, Carlo Verdone voleva farci un film. Franco Costantini gli ha dedicato un’epopea in versi. L’azienda comunale dei trasporti ha stampato biglietti con la sua faccia. Lui, fra un gol e l’altro dei suoi trecento, ha scritto libri di barzellette, un’autobiografia, una guida della città. Prima ancora di amarlo, Roma lo ha protetto, tanto che senza Roma quasi si ha l’impressione che il cammino del campione sarebbe stato diverso, più povero. Tornava in mente Totti l’altra sera, mentre Insigne lasciava il campo insoddisfatto e cupo, dopo qualche brusio del San Paolo a qualche giocata. Se ne andava malmostoso, con un labiale indispettito, rivedendo forse davanti agli occhi il film di un rapporto con la città e con la sua squadra assai distante dall’amore totale che esiste fra Totti e Roma. Roma ha difeso il suo uomo immagine anche di fronte a sputi e calci. Napoli si spacca su Lorenzo solo perché Lorenzo Napoli non l’ha unita mai sul serio. 

“Dovrà chiedere scusa ai compagni” gli ha mandato a dire Sarri, napoletano con l’accento dell’Alighieri, inferno purgatorio paradiso. Scusa di cosa, si sarà chiesto Insigne, che non ha offeso nessuno se non forse se stesso, mostrandosi ancora una volta fragile, confuso, bambino. “Ma chi io?”, domandò Totti l’anno scorso dal campo alla panchina, quando Garcia lo tolse, e non c’era nessuno a Roma a cui chiedere scusa quella volta, figurarsi, anzi le radio imbastirono un processo: all’allenatore che disponeva, mica il capitano, il re, l’imperatore. Forse c’entra davvero la poesia. Roma ha avuto Belli, poeta dell’anima e dei cenci, cantore di una urbanità “concettosa e arguta”. Il Totti figlio del popolo ha un habitat letterario che lo sorregge. “Né Roma è tale – scriveva Belli – che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto”. Di fronte al popolo e ai suoi figli che vengono dal nulla, Napoli invece si fa esigente. Ha tanta borghesia nella sua letteratura. Gli Insigne hanno sempre qualcosa in più da dimostrare, oppure da farsi perdonare. Napoli è la città del cuore in mano, ma il circolo del sangue nel cuore non va in una sola direzione. Se Roma ride e deride, Napoli pure quando ride si commuove. Roma si riflette nella cifra dello scetticismo, Napoli danza sempre sulle note del melodramma. Roma ha avuto Trilussa il beffardo, la Napoli popolare si è specchiata in Libero Bovio, Di Giacomo, E.A. Mario. Ma è sotto la maschera del cinismo che si sta meglio al riparo, i sentimenti invece lasciano ferite. 

“Je te voglio bbene assaje, ma tu non piense a mme”. 

Oppure Prendete Reginella. Non esiste in nessun’altra lingua al mondo una frase d’amore che sia in realtà un taglio, una spaccatura, una chiusura: “T’haggio voluto bbene a tte”. Te ne ho voluto. Una volta. Adesso no. Benché sia Roma la città del cattolicesimo, è a Napoli che si coltiva il sentimento della colpa. La poesia popolare di Roma mette in scena il quotidiano, quella di Napoli ha puntato in alto: all’amore, dunque all’universale. Il filo che conduce da Belli e Trilussa fino a Totti ha una sua coerenza in nome dell’arguzia e della leggerezza. Insigne è condannato a star dietro i moti del cuore: l’amore, l’odio, l’antica danza del mondo.
Elena Amoruso

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