La notizia della frattura al piede di Maksimovic mi ha fatto ricordare che non è la prima volta che un calciatore avversario viene colpito dalla sfortuna quando incrocia o il desiderio insoddisfatto o il disappunto (con bestemmia) dei napoletani che tifano per il Napoli.
Strootman della Roma, dopo avere abbandonato il campo del San Paolo lasciando in terra una traccia organica frutto della sua salivazione, ha avuto tutte le sfortune del mondo e non riesce più a giocare per infortuni a ripetizione che, addirittura, mettono a rischio la sua carriera.
Quagliarella, dopo aver lasciato il Napoli, al suo primo campionato con la Juve di Delneri, iniziò a segnare come mai aveva fatto prima e nel momento forse migliore della sua carriera per continuità e prolificità, proprio alla vigilia del suo ritorno al San Paolo ebbe il primo ed unico infortunio grave della sua carriera, saltando quella partita, le successive e non ritrovando più quella condizione magica che, anche per le scelte di Conte subentrato a Del Neri, non riuscì più a ritrovare in bianconero.
Paolo Rossi, che rifiutò l’acquisto ormai definito col Perugia da parte di Ferlaino, fu successivamente coinvolto nello scandalo del “Calcio-Scommesse” e fu costretto a stare lontano dal campo di gioco per alcuni anni perché squalificato.
Un amico con il quale scambiavo queste riflessioni, citava (cinicamente) anche il caso di Gigi Meroni, calciatore del Torino morto tragicamente in quella città perché investito da un’auto mentre attraversava la strada, che i napoletani volevano vestisse la maglia azzurra. Ma in questo caso la sua storia era diversa da tutte le altre poiché il calciatore amava Napoli e voleva venire a giocare qui da noi, mentre era il Torino a non volerlo accontentare e a non volerlo vendere agli azzurri.
Ed allora, ritornando seri e tralasciando il gioco sulla jattura che colpisce chi si mette di traverso coi desideri o con le bestemmie dei tifosi napoletani, proprio a proposito di Gigi Meroni vorrei lanciare una proposta che sarà compresa da quanti hanno avuto la fortuna di seguire il calcio di quei tempi (ho scritto “fortuna”, eh, non “vecchiaia”!).
Ero ragazzo, seguivo da poco il calcio e ogni tanto avevo la fortuna di assistere a qualche partita al San Paolo grazie ad un amico di famiglia che aveva l’ingresso gratuito allo stadio e mi faceva entrare con lui. Una domenica c’era la partita Napoli-Torino. Nei minuti precedenti l’inizio della gara, le persone che erano al mio fianco, aspettavano l’ingresso delle squadre in campo come nell’attesa di un evento (che, evidentemente, si era già verificato nel campionato precedente) che sarebbe di lì a poco avvenuto. Ed infatti accadde una cosa che mi lasciò a bocca aperta e con la pelle d’oca per l’emozione: anticipando di qualche minuto l’uscita degli altri giocatori del Torino dallo spogliatoio, Gigi Meroni sbucò fuori dal sottopasso che portava al campo come se fosse atteso dal pubblico che esplose in un’ovazione di gioia festosa e lui ricambiava con le braccia alzate in segno di saluto, quasi fosse un calciatore con la maglia del Napoli e non del Torino. E dopo la partita (di cui non ricordo nemmeno il risultato perché, incuriosito, avevo occhi solo per lui, ammirando la sua bravura calcistica, la sua estrosità nel giocare) fu l’ultimo a lasciare il terreno di gioco perché, con la stessa gioia e felicità di quando era sceso in campo, fece il giro della pista di atletica per ringraziare tutto il pubblico, che lo applaudiva e osannava come poi ho visto fare solo nei confronti di Maradona!
Mi interessai talmente a questa bellissima ma anomala manifestazione di spontaneo e genuino feeling tra il pubblico del San Paolo e questo calciatore (che non vestiva la maglia azzurra), che seguendo e leggendo le cronache e le notizie calcistiche da quel momento in poi, scoprii che Gigi Meroni aveva dichiarato più volte nelle interviste che il suo desiderio e il suo sogno era quello di venire a giocare nel Napoli, di vivere a Napoli, innamorato della città e del calore dei suoi tifosi che, anche da “avversario”, lo amavano e lo acclamavano.
Purtroppo, all’inizio del campionato successivo (esattamente il 15 ottobre 1967, data impressa nella mia memoria perché coincidente con il mio 12° compleanno e con il decesso di una zia a me molto cara) Meroni morì tragicamente a Torino sbalzato da una carreggiata all’altra ed investito più volte mentre attraversava la strada in compagnia di un suo attonito e choccato compagno di squadra (mi pare Poletti).
Ricordo ancora il titolo di un articolo pubblicato all’epoca, non ricordo se su Il Mattino o sul supplemento del martedì Sport Sud, che diceva più o meno “Se Gigi fosse venuto a Napoli…”.
Circa 10 anni fa, un libro dal titolo “La farfalla granata”, scritto da Nando dalla Chiesa, raccontò la vita e la storia calcistica di Gigi Meroni ma (forse per una forma di gelosia e di sentimento di appartenenza da parte dell’autore, tifoso del Toro) solo una decina di righe furono dedicate al legame che si era creato spontaneamente (come tutti gli innamoramenti) tra il calciatore e Napoli, squadra e città, nell’ultimo periodo della sua breve vita.
Un rapporto così particolare, così unico (non ricordo nella storia del calcio vicende simili), così forte emotivamente, avrebbe meritato un maggiore approfondimento, un maggior risalto.
Ed allora, ecco il senso della “proposta” di cui scrivevo all’inizio: perché qualche addetto ai lavori, un giornalista, uno scrittore, uno storico del calcio, un cineamatore, non racconta questa storia così particolare? Attingendo da interviste ai suoi vecchi amici, ai calciatori del Napoli e del Torino dell’epoca, cercando testimonianze tra i tifosi napoletani che lo ricordano o da filmati dell’epoca che mostrino quello che io vidi da ragazzo.
Il calcio dei sentimenti, della poesia, della bellezza e non solo quello dei contratti, dei diritti d’immagine, dei mugugni in panchina e, perché no, del dover vincere sempre e tutto, altrimenti è un fallimento…
Pietro Introno