“Vede Professore, il nostro dubbio, anzi direi il nostro auspicio – che non so perché abbia, nella nostra città, sempre un che di cupo – è che la storia calcistica degli ultimi anni e giorni, il succedersi di partite così aperte, quasi difficili da contenere in un racconto per quanto siano vaste, questi triangoli chiusi in centimetri quadrati, le semirovesciate volanti, le tedesche, le inglesi, le romane e le torinesi travolte da una inaspettata furia lucida di maglie azzurre, insomma intendiamo dire tutta questa bellezza, compressa in uno stadio, possa finalmente unirci. Potrebbe essere, scusi la franchezza, la bellezza di cui avremmo bisogno per stabilire una generale amnistia e ritrovarci finalmente assieme, magari in uno stadio pieno, per parlarci, una volta tanto”
Il Dottor Freud ha ascoltato con uno sguardo più immobile del solito ma non per questo esita a rompere il suo silenzio: “Avevamo stabilito di scartare a priori le soluzioni banali per sondare meglio le vostre profondità, ed il problema, a mio avviso, è che l’idea di bellezza che avete appena esposto è quasi stravagante tanto è banale. E questo, appunto, è un problema. Perché se si dicono cose banali, c’è il rischio anche di pensarle.”
Quindi si alza lentamente in piedi e continua: “Sentite, questa idea redentrice della bellezza alla lunga stanca. Una sera seguite in migliaia, forse milioni, il vostro centravanti, mentre vìola senza timore la porta della squadra che portate nel cuore – perché quella squadra torinese e bianconera, che riempie anche i vostri stadi, la portate nel cuore – e non potete fare a meno di andare in estasi, scorgere l’armonia, la pienezza, la simmetria delle forme, i tratti del dio. È il problema di essere nati in Italia, tra un profluvio di arte rinascimentale. Ed anche a Napoli. Troppi cristi velati, troppo manierismo, troppi infiniti colonnati su piazze neoclassiche”.
Si volta e pesca un libro della sua libreria il cui autore, Fëdor Dostoevskij – a suo dire – è stato una sorta di suo precursore, oltre che uno che più di altri ha trattato il problema enorme della bellezza. “Il problema. Perché la bellezza, prima di ogni altra cosa, ha una natura contorta e problematica. Si nasconde, mostra la faccia della mezz’ala che esce bene sul vertice basso avversario, il difensore che chiude preciso la diagonale, il portiere che chiama la palla che penzola sulle teste dei propri terzini, ma poi vi fa subire, al colmo dell’enigma, il goal a freddo in una partita in cui ‘non era previsto‘, come ha detto il vostro allenatore. (Ma voi lo ascoltate, il vostro allenatore?)”. Poi prende a leggere:
“La bellezza è una cosa spaventosa e terribile, spaventosa perché non è definita, ma essa è indefinibile perché Dio ha posto solo enigmi. Qui gli opposti si congiungono e tutte le contraddizioni convivono. C’è una quantità spaventosa di misteri! Troppi enigmi opprimono l’uomo sulla terra. Dobbiamo cercare di risolvere gli enigmi meglio che possiamo, e cercare di uscire asciutti dall’acqua“
Il professore ride, di una risata squillante. “Ora ditemi – chiede – se questi sono i fratelli Karamazov che discutono, o è la disamina di una vittoria convincente in posticipo serale contro la Juventus. Perché le uova di quella vittoria, ora, dopo la sbornia, si schiuderanno in milioni di dubbi, costringendovi a chiedere a voi stessi chi siete veramente, aspettare esausti domenica prossima per capirlo e ritrovarvi al termine di quei novanta minuti col medesimo numero di enigmi nella mente”. E spiega che se la bellezza è così enigmatica, misteriosa e spaventosa, è irragionevole ritenere che essa possa portare, se non la tanto agognata fratellanza, almeno una unione di intenti.
“Ma, professore, allora dobbiamo rassegnarci ad uno stadio vuoto, o pieno a tratti, o a soffocare costantemente sotto un mare di polemiche micragnose mentre sul campo vediamo questo ben di dio?”
“E chi vi ha detto che è un ben di dio? Di nuovo, troppe certezze e troppo banali. Prima di puntare a riempire gli stadi, puntate a capirci qualcosa. E abbiate un po’ di fiducia nella bellezza, che ha cammini misteriosi, ma pratica un solco in ciascuno di noi. Fatela decantare. No. Non credo che vi unirà. La bellezza è nata per dividere, è sempre figlia di un combattimento. Ed è quasi ridicolo che debba essere un ebreo della Moravia a spiegarvi che tra la Chiaia e la Marianella del mondo non ci sono che pochissimi metri di apparente differenza”. Apre di nuovo le pagine del libro e riprende la lettura:
“Ciò che alla mente sembra ignominia, al cuore può sembrare pura bellezza. In Sodoma c’è bellezza? Credi a me, per la stragrande maggioranza delle persone la bellezza è proprio in Sodoma, lo conoscevi questo segreto?“
Silenzio. Siamo sul lettino.
“Dunque secondo lei il diagonale di Pipita a Buffon è diabolico più che divino? È questo che vuole dirci?”
Il Dottor Freud pare sbuffare, spazientito:
“Sabato sera siete tornati a cantare – dopo alcune pause in cui avete cantato cose strampalate – la vostra canzone. Quella che contiene una strofa che è un manifesto di libertà – niente voglio e niente spero. Ebbene, quella canzone, dicevo. Secondo voi, parla d’amore o di guerra? (Ma voi, le vostre canzoni, le ascoltate?)”.
Raniero Virgilio