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Meglio il calcio innovativo di Sarri, anche se abbandonare il salotto buono ha il suo peso

Meglio il calcio innovativo di Sarri, anche se abbandonare il salotto buono ha il suo peso

Accettiamo il rischio di andare controcorrente e diciamo: Sarri mi sta bene. Ma, molto probabilmente, non per gli stessi motivi che hanno ispirato la scelta di Adl, il quale ama giocare di azzardo e dopo il no di Emery ha preferito il rischio massimo per puntare all’en plein. Abbiamo anche provato a immaginare il suo ragionamento che più o meno è stato questo: il tecnico più gettonato d’Europa non vuole venire a Napoli, me ne sbatto e faccio finta di volare basso, ma in realtà gioco di prospettiva e (ri)costruisco il futuro della squadra. Non l’umore dei tifosi che se potessero lincerebbero il presidente sulla pubblica piazza. Dopo averlo investito con uno tsunami di improperi. A Massa Lubrense, dove mi è capitato di discutere di queste cose, è andata proprio così. Cataldo ‘o limonaro ha detto che De Laurentiis pensa solo ai casi suoi, Maurizio (non Sarri, ma un marittimo di grande fede azzurra) ha usato una espressione più colorata: «C’eravamo abituati a spendere nella city e a Madrid, siamo tornati al supermercato di periferia». Ho provato a convincerli, ma non c’è stato verso perché, alla faccia di chi pensa il contrario, il signor Benitez ha scortato il pubblico del San Paolo nel salotto buono del calcio europeo, ed ora i tifosi non accettano la scelta della società che agli occhi loro è una clamorosa e mortificante retromarcia.

È dura la vita del presidente, ma è dura anche quella del commentatore. E, allora, per non lasciare margini di dubbio chiarisco meglio e alzo la posta: punto sul tecnico emergente, che indossa la tuta e ha messo tutti in riga, compreso Benitez. E accetto Sarri come avrei accettato De Francesco e Montella, che, come il tecnico ex Empoli, privilegiano il calcio offensivo e spettacolare. Quello che Benitez ha, con risultati molto alterni e poco apprezzabili, ma di grande prospettiva perché ha cercato di cambiare la storia calcistica napoletana (sbiadita, tranne alcuni acuti non replicati perché manca la cultura del progetto) e di regalare, spesso riuscendovi, ai tifosi rassegnati anche quando, come è avvenuto con Mazzarri perché questo è il paragone più gettonato per crocifiggere Benitez, si raggiungevano classifiche migliori. Ma si continuava a vivacchiare ai margini del milieu europeo.

La stima per Sarri, quindi, è frutto di un assunto tecnico: scelgo il suo gioco moderno e innovativo non quello difensivistico e sparagnino di Spalletti e Prandelli che negli ultimi tempi mi sono sembrati due ricchi signori che hanno accettato di buon grado di farsi da parte chiedendo solo, come ha fatto il buon Luciano, il rispetto del sontuoso contratto sottoscritto a San Pietroburgo. Così è andata, e così sia.

Il discorso si fa più complicato quando si parla di Mihailovic, di Di Francesco e di Montella: se la scelta fosse caduta su uno di questi tre tecnici avrei espresso lo stesso indice di gradimento. A orientare il nord verso Sarri, però, credo che abbiano giocato considerazioni più legate all’esigenza di soddisfare le richieste di Sarri che ha enunciato un principio che farà tremare i signori del calcio che inseguono i piedi più costosi senza chiedersi se e in quale misura si integreranno con l’ossatura della squadra che non può essere stravolta. Da qui ai nomi di Rui, Tonelli e Valdifiori il passo è stato brevissimo e l’adesione di De Laurentiis è stata totale, entusiastica perché i pezzi dei cartellini non sono certo paragonabili alla boutique del Real Madrid e del Manchester City. Elementare, Watson.
Carlo Franco

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