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La sfida è stata decisa dai limiti del Napoli e Benitez non ha cercato scuse

La sfida è stata decisa dai limiti del Napoli e Benitez non ha cercato scuse

Senza attributi non si cantano le messe calcistiche e non si va a Varsavia. La finale della Coppa Uefa se la gioca il Dnipro che, al contrario, di attributi è ben fornito e li ha sfoderati per uccellare quella banda di bravi guaglioni che è il Napoli. Disposto, come al solito, a fare sconti in difesa, a menare il can per l’aia a centrocampo e a tenere all’asciutto le bocche di fuoco. I furti perpetrati dagli arbitri sono stati determinanti – chi osa metterlo in dubbio – ma, in tutta onestà, a decidere l’esito delle due sfide con gli ucraini hanno pesato, eccome, i limiti strutturali del Napoli. Sui quali non si è intervenuti a tempo debito.

Rafa ne è consapevole più di tutti – stampa compreso – e in questi mesi si è dannato l’anima per mascherarli o, almeno, per limitarli, ma quando ci si mette anche la pioggia torrenziale che bagna le polveri di Higuain non c’è niente da fare e non resta che inchinarsi con un olè al passaggio del Siviglia ponendoci in scia di Michel Platini e Pierluigi Collina che hanno fatto da battistrada. Benitez, però, a questo gioco non ci sta e non si unisce al coro. Al termine della partita, infatti, il tecnico spagnolo non ha mendicato scuse: d’accordo sulla sfortuna, d’accordissimo sugli errori arbitrali, ma noi dovevamo segnare e non lo abbiamo fatto.

Come non essere in sintonia, questa è la cifra di un tecnico abituato a competere ai livelli più alti. La sfortuna è una attenuante, importante sicuramente, ma la prima ragione della sconfitta va ricercata in se stessi. E nei propri errori. Attendiamo una stessa onesta assunzione di responsabilità da parte della società che, a tempo debito, non ha raccolto l’allarme del tecnico, ma probabilmente resteremo ancora una volta delusi. Nel calcio il vecchio detto popolare qua le pezze qua il sapone – tradotto in calcistichese intaschiamo prima i soldi della qualificazione alla Champions, poi facciamo gli acquisti – non pagano, anzi aiutano a perdere e a sciupare l’occasione irripetibile di vincere un trofeo europeo che ci avrebbe messo, dopo un quarto di secolo, a pari con il Napoli di Maradona.

E qui mettiamo punto perché di queste cose si è parlato fin troppo. Chiudiamo il libro, allora? No, teniamolo aperto e parliamo dei sospetti che sono legittimi e, soprattutto, dei cori razzisti che insozzano il calcio italiano e non vengono puniti con la necessaria severità. Generando la convinzione che sono alimentati da una cultura antimeridionale che mette i brividi per quanto è rozza, incolta e volgare. I cori si sono ripetuti perfino nello spogliatoio della Juve dove giocatori e dirigenti facevano festa per la finale conquistata. E la notizia è stata data dai media. Anche in questo caso Benitez aveva visto giusto e in anticipo perché quando gli venne chiesto di commentare il turno di squalifica per il commento sul calcio italiano (di m…) non ha contestato il provvedimento, ma ha sottolineato i limiti culturali della giustizia sportiva. Alla luce dell’ultimo sconcertante episodio di Madrid il suo giudizio acquista un rilievo ancora più marcato. Come a dire, qui si guarda il filo di paglia non la trave nell’occhio di un ambiente dove dettano legge i Tavecchio e i Belolli – quest’ultimo presidente della Lega dilettanti dove ha preso il posto del suo – che si accaniscono contro Opti Poba e praticanoi sessismo mortificante contro le calciatrici dilettanti. Ancora una volta ha avuto ragione Benitez, ma la saggezza non paga.
Carlo Franco  

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