Ha dato la miglior risposta possibile. Ha dato la risposta di un leader politico. Ha dato la risposta che ha ricordato un altro tesserato del Napoli nato leader politico, uno piccolino coi ricci. «Hanno sentito una mia frase sull’ostruziosnimo del gioco italiano e non i cori sul Vesuvio e contro Napoli». C’è tutto. Diciannove parole e Benitez ha detto tutto (stavolta non alla Peppino De Filippo). Non ha negato la frase. Non se l’è rimangiata, ma ha ribaltato il tavolo e posto un tema politico. Lui, castigliano di nascita, scouser di adozione. Lo ha fatto lui e nessun editorialista napoletano. Di quelli che il ditino alzato ce l’hanno solo contro chi rappresenta il Napoli e Napoli. Col tempo ho capito che è un difetto ineliminabile: Napoli non difende Napoli, se ne vergogna, anche perché sa che per farsi accettare in Italia bisogna prenderne le distanze. Ed è anche comprensibile, per carità, perché in effetti è dura.
Lui, Benitez, lo straniero, invece ha posto il tema: una giornata perché ha definito di merda un calcio che consente a un portiere di aspettare 14 secondi (e glieli ha contati in faccia al quarto uomo) e invece nulla di nulla per quei cori che sentiamo in ogni stadio d’Italia e che quello stesso portiere incitava. Cori, ricordiamo, che sono sempre stati bene anche al presidente De Laurentiis.
E si è trattenuto, Benitez. E bene ha fatto, perché domani c’è il Dnipro, c’è una semifinale che non giochiamo da 26 anni. Mamma mia, è incredibile tutto quel che il signor Benitez ha dovuto ingoiare a Napoli. Semifinale europea. Somiglia tanto alla parola cuoco di Miseria e nobiltà. E c’è chi strepita. E offende. E tanto altro.
Da leader, Benitez ha sorvolato su Donadoni, sulla vergogna di accuse urlate all’Italia intera e poi ritrattate in 24 ore, sulle accuse dei moralisti del lunedì che si sono gonfiati come tacchini nelle loro invettive anti-Napoli per poi dileguarsi quando la realtà si è plasticamente distesa davanti ai loro occhi.
Vittimisti. Siamo vittimisti per tutto. Anche se ricordiamo che fior di opinionisti nazionali sono legati a una geopolitica anni Settanta, quando l’Italia era ago della bilancia nella questione mediorientale e nella politica dello sport avevamo gente come Artemio Franchi e Primo Nebiolo. Siamo vittimisti pure se ricordiamo che l’Italia non conta più niente. Non è colpa nostra e non intendiamo dire che a Kiev, se perderemo, sarà per colpa dell’arbitro. Semplicemente spieghiamo che il mondo è cambiato e che l’Ucraina è più potente di noi. Che non siamo il centro del mondo. Che siamo periferia. Anche nella politica dello sport. Così come Napoli è periferia in Italia. Facciamocene una ragione. Oggi i quotidiani nazionali quasi hanno ignorato la notizia della squalifica di Benitez. Napoli fa notizia solo quando asseconda il corso del fiume, solo quando conferma gli stereotipi che la riguardano. Così come l’Italia sui giornali stranieri (mafia, spaghetti eccetera).
Uno dei pochi ad averlo capito è Rafa Benitez. Per chi non lo avesse compreso, la decisione di ieri del giudice sportivo Tosel è una decisione politica. È un chiaro invito. Benitez, che poi così stupido non è, ha risposto per le rime. Quel che è più difficile spiegare in questa storia è la marea di critiche che quest’allenatore ha dovuto subire in una città che ha una vocazione impareggiabile all’autolesionismo. Ma lasciamo stare, domani è un altro giorno. Ne abbiamo vissuti solo tre in novant’anni di storia. Godiamocelo.
Massimiliano Gallo