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Immaginate il Napoli senza quei mesi di psicodramma collettivo

Immaginate il Napoli senza quei mesi di psicodramma collettivo

«Questo Napoli, sia pura con una percentuale adeguata alla sua posizione in classifica e al suo distacco, non può essere escluso dalla corsa scudetto. Credo che Benitez sia l’allenatore che conferisca in Italia il più alto valore aggiunto alla propria squadra, non solo in termini di gioco ma anche di crescita, di carattere, di internazionalizzazione. Quello di De Laurentiis è un progetto di tipo europeo, giovane, fresco, di gran lunga più moderno rispetto, ad esempio, a quelli di Inter e Milan. Lo dico da tempo, ormai». Questo pericoloso sovversivo risponde al nome di Mario Sconcerti che quando parla del Napoli a Sky allarga sempre le braccia e aggiunge, riferendosi a una vocina immaginaria che gli ronza nella testa: «Lo so che a Napoli in tanti la pensano diversamente, ma questo è il mio pensiero».

Pur senza pronunciare quella parola che in estate è costata una scomunica pubblica al presidente De Laurentiis, al pensiero di Sconcerti si affianca quello di un altro pericoloso estremista, nonché incompetente, che risponde al nome di Gianni Mura, che su Repubblica si azzarda a scrivere che fin qui il 2015 è l’anno del Napoli e si spinge a elogiare il mercato degli azzurri. Come potrebbe sapere il cantore dei Tour de France, l’uomo che ci faceva innamorare anche il giorno dopo raccontandoci delle imprese di Pantadattilo («Vado forte in salita così smetto di soffrire prima»), che invece da noi quasi quasi il dibattito è un altro e cioè: com’è possibile che un giovanotto di via Pigna giochi nella Roma? Come se il Napoli dovesse avere lo ius primae noctis su ogni bambino che tocchi un pallone in città. 

E invece abbiamo “solo” due tra i cinque giovani attaccanti più forti d’Italia: uno è Insigne e l’altro è Gabbiadini. Lui, Manolo, che stava finendo nel tritacarne per due scampoli di partita in cui non aveva fatto Gigi Riva. La normalità, per noi, è che segni ogni settimana, come ha fatto nelle ultime due. Nemmeno ci accorgiamo che il resto d’Italia sta rosicando. Ieri ha segnato un gran gol, ha finalizzato un’azione che ci ha riportati al Calypso del gol di Gambe d’oro: un-due-tre, io passo a te, tu passi a me. Mertens-Hamsik-il-dito-di-Manolo-indica-Marek-esegue-e-Gabbiadini-conclude. Signori, il calcio. E sì che Napoli di azioni d’attacco di prima se ne intende, dovrebbe serbarne memoria. 

Dalla sera del ci può stare il Napoli non pareggia nemmeno più. L’uomo che non sa come tenere insieme un gruppo, che non ha il senso della disciplina, che è venuto qui a fare l’olandese, da quella sera le ha vinte tutte: quattro in campionato e due in Coppa Italia. Lo ha fatto alternando i giocatori, facendo quel turn over che a Napoli evidentemente qualcuno credeva che fosse un insulto alle loro genitrici. Persino Callejon è finito nella turnazione. Il Napoli aveva trovato il suo echilibrio grazie a David Lopez e a de Guzman. Detto, fatto: ieri non hanno giocato e abbiamo vinto 3-1. Così come ha dimostrato che va in porta anche senza il mostruoso Higuain. Qualcuno, immancabile, cominciava a rimarcare l’italianizzazione di Benitez; e lui che ti fa? Ti schiera insieme Gabbiadini, Mertens, Hamsik e Higuain, con Inler a centrocampo. Parlate ancora?   

L’Udinese. Il Napoli è parso un cobra. Due affondi, due gol. Con una squadra che ha lasciato fuori Koulibaly, Strinic, Callejon, e appunto Lopez e de Guzman. Dopo l’uno-due, è sopraggiunta un po’ di paura. Sembrava il remake di quel film del terrore che ben conosciamo: “Uno spettro si aggira sul San Paolo”. Prima una traversa dell’onnipresente Allan (gran deviazione di Rafael); poi il gol di Thereau (uscita sciagurata di Rafael) e quindi dieci minuti di alta tensione. Ci stavamo preparando a un secondo tempo de paura e invece l’Udinese di fatto non ha mai tirato in porta, tranne che su punizione di Fernandes (ancora una volta ben deviata da Rafael). Sì, abbiamo segnato su autogol, del resto è ancora previsto dal regolamento. E poi abbiamo vinto come sempre abbiamo sperato di fare: senza soffrire. Perché – vale la pena ricordarlo – nel calcio non sono tutte finali di Champions, le grandi squadre sono quelle che vincono il più alto numero di partite senza produrre il massimo sforzo.    

Sotto i nostri occhi, mentre tanti di noi erano intenti a gridare oscenità calcistiche, si stava modellando un gruppo che adesso viene guardato con diffidenza dal resto del calcio italiano. Vorremmo altresì ricordare che, tra le tre di testa, il Napoli è la squadra che ha perso meno punti rispetto allo scorso anno: due, contro il meno sei della Juventus e il meno sette della Roma. Non oso immaginare dove saremmo potuti essere se la città – magicamente guidata da scellerati del pallone – non fosse sprofondata sin da quest’estate (ancor prima di giocare!) in uno psicodramma collettivo che ha alterato le menti di grandi e piccini. 

Quel che è stato è stato. Ora, però, cerchiamo di fare pace con un concetto: questo Napoli è forte. Elloso, è dura da digerire, tocca cambiare copione e magari anche abito. In teoria, ne varrebbe la pena. Tutt’al più – per i più onesti intellettualmente – ci sarebbe da scusarsi con due signori. E sì, l’orgoglio (così come l’incompetenza) è una brutta bestia.
Massimiliano Gallo 

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