«A Dortmund il calcio è tutto e per capirlo basta venire una volta allo stadio: sempre pieno, con un tifo bollente. Ma è perché non hanno molto altro. È concepito quasi come uno svago per le famiglie. Siamo in zona retrocessione eppure ci siamo ritrovati gli ultras al campo d’allenamento una sola volta, dopo la sconftta con lo Schalke, rivale storico. Erano in sei, hanno chiesto di parlarci. Mi sono avvicinato anch’io. “Ci aspettavamo di più”, hanno detto, e se ne sono andati».
È così difficile integrarsi in Germania?
«A inizio stagione, il club ha organizzato una specie di festa tra i giocatori e le loro famiglie. Jessica è rimasta col suo pancione seduta in un angolo per tutta la serata. Ci fosse stata una delle mogli dei miei compagni che le si sia avvicinata per chiederle almeno come stava».
Se lo ricorda il primo giorno al Borussia?
«Mi hanno fatto cantare. Il pezzo lo hanno scelto loro: Notti magiche, la sigla di Italia 90».
E col cibo come andiamo? Ha assaggiato qualche piatto tedesco?
«Questo mai. La Germania è una bella nazione, ma il cibo non è cosa loro. Per fortuna abbiamo trovato un ristorante napoletano, Acqua Pazza, vicino allo stadio. Una domenica ci hanno fatto il ragù, le polpette, le melanzane alla parmigiana…».
Altri italiani che ha conosciuto qua?
«Il magazziniere del club è napoletano. Si chiama Ciro pure lui. Poi un cugino della moglie di mio cugino lavora qua. È di Torre Annunziata come me».
In che cosa i tedeschi sono migliori di noi?
«Sono più organizzati, più precisi… Ma anche la precisione, se portata all’eccesso, diventa un difetto».
Cosa le manca dell’Italia?
«Il calore della gente. A Torino io e Jessica ci sentivamo amati».
Quali sono gli aspetti positivi di questa stagione?
«Gli otto gol fatti. Non sono tanti, ma quattro li ho segnati in Champions, alla prima esperienza. In campionato sono fermo a tre, però non ho giocato molto nel girone d’andata e in ogni caso un attaccante deve essere sostenuto dalla squadra. Io corro come sempre: tra i 10 e gli 11 chilometri a partita. Ma se la palla non arriva, o arriva tardi…».
È lei a non capire il Borussia o è il Borussia a non capire lei?
«Un po’ e un po’. Io devo adattarmi a un calcio più fisico, più veloce. Loro, all’inizio, forse pensavano che fossi il classico italiano che non ha voglia di lavorare, poi si sono accorti che sono uno che si fa il mazzo tutti i giorni per imparare, crescere, giocare e, soprattutto, vincere. Solo i giornali fingono di non vedere».
In che senso?
«Nel senso che continuano a criticare senza sapere quello che il Borussia mi chiede e quello che posso dare. Parlano solo dei soldi che prendo»
È tentato dal tornare in Italia?
«Non voglio tornare. Ho preso una strada e voglio arrivare in fondo».
Si sente all’altezza del Borussia Dortmund?
«Assolutamente sì».