Il mantra del “pubblico esigente” è stato sempre l’ossessione della stampa sportiva delle grandi piazze. Anche quando non è giustificato o addirittura non risponde a verità. È una questione tirata in ballo per alzare l’asticella, per convincere i tifosi che leggono ed ascoltano che in fondo meritano sempre un po’ in più di quanto hanno ricevuto. A Napoli il pubblico di qualsiasi sport è esigente. Per definizione. In fondo è bello pensare di far parte di un “pubblico esigente”, credendo per questo di essere un tantino più competenti.
Non posso mai dimenticare quando la sera del 22 maggio 2003 al Palablu di Monteruscello, immediatamente dopo l’eliminazione ai quarti dei play-off di basket del campionato 2002-2003 per mano della Lottomatica Roma di Carlton Myers, durante la conferenza stampa post partita ascoltai le domande dei giornalisti napoletani ad Andrea Mazzon (allenatore della Pompea Napoli) e a Mario Maione (presidente).
Per chi non lo ricordasse, il contesto dell’epoca era che il calcio a Napoli stava affondando e a stento si salvò dalla serie C, mentre il basket, che arrivava da una fresca e inattesa promozione nel massimo campionato, aveva fatto un bel campionato fino ad arrivare come matricola ai quarti dei playoff. I trofei conquistati dalla pallacanestro partenopea erano all’epoca una Coppa Italia (1968) ed una Coppa delle Coppe nel 1970. Il top del basket napoletano in campionato era stato invece il secondo posto dell’Ignis Sud nel 1967-68. Parliamo di preistoria cestistica.
Eppure gli ultimi dieci minuti della conferenza furono dedicati dai giornalisti presenti al “cosa farete in futuro per questo pubblico esigente?”. Mazzon aveva lo sguardo un po’ sconcertato. Dovette pensare: esigente? E perché? In fondo il basket napoletano era appena tornato dal purgatorio di una serie di fallimenti societari ed acquisizioni di titoli sportivi da parte di diverse società con un lungo peregrinare nelle serie inferiori. Ciò che avevano dato al pubblico in quella stagione era già tantissimo. Però era bello riempirsi la bocca con lo spauracchio del “pubblico esigente”. A certa stampa piace parlare di pubblico esigente. Esigente per diritto divino credo.
È questo uno dei motivi per cui nella nostra città spesso bruciamo progetti ed allenatori. Abbiamo contestato a turno tutti. Vogliamo il gioco, ma ci lamentiamo dei risultati. Abbiamo i risultati ma ci lamentiamo del gioco. Ricordo benissimo il fuoco di fila televisivo (locale) cui fu sottoposto nella stagione del ritorno del Napoli in seria A (2007-08) quel galantuomo di Edy Reja. A un certo punto, contro di lui il becerume e gli attacchi volgari da parte di alcuni espertoni di calcio sulle tv napoletane si sprecarono. Tutto questo nonostante la qualità media dei calciatori non fosse all’altezza dei risultati poi realmente ottenuti (8° posto come matricola). Nel solito delirio calcistico napoletano si pretendeva il “grande spettacolo” oltre ai risultati, tutto con i soliti messaggi accattivanti che ufficialmente recitavano “noi siamo il Napoli, noi meritiamo di più”, anche quando il Napoli faceva miracoli. In tv ci si riempiva la bocca dei Beretta, dei Ballardini, dei Giampaolo e dei Gregucci, implorando De Laurentiis di bloccare al più presto uno di questi maghi della panchina per sostituire Reja alla prima occasione utile o almeno per il torneo successivo.
Questi messaggi erano puntualmente recepiti dal pubblico. Facendosi beffe della posizione in classifica, molti tifosi divennero paradossalmente imbufaliti verso allenatore e società. La contestazione strisciante creò non poco sconcerto tra gli osservatori estranei ai fatti del Napoli. Ricordo che una sera, nell’attesa di un mio intervento telefonico a Radio Uno Sport dopo il 4-4 a Roma, vi furono alcuni tifosi del Napoli già in linea con Radio Uno che sbraitarono al telefono contro allenatore e presidente. Vista l’atmosfera inquieta in città, non a caso avevo chiesto di intervenire per far comprendere a Emanuele Dotto, Marco Tardelli e tutti gli ascoltatori che non tutta Napoli era contro Reja e che anzi in molti apprezzavamo gli sforzi di società ed allenatore nel cercare di tirar fuori qualcosa di buono da una squadra nuova della serie A ed ancora per tanti motivi inesperta. Tardelli e Dotto si meravigliarono molto, al termine del mio intervento, di queste due anime contrastanti all’interno del tifo partenopeo.
Purtroppo queste due anime esistono da sempre ed esisteranno ancora. Ora abbiamo l’allenatore della maturità, temo però che non resterà a lungo (con grande soddisfazione di molti napoletani). Sicuramente anche lui non è immune da errori, ma gli attacchi gratuiti che lo colpiscono da un po’, sin dalla finale di Coppa Italia che molti a Napoli amano ora definire una “coppetta” dopo aver a lungo presentato la finale come l’ultima spiaggia per la guida tecnica, li posso comprendere solo quando provengono dalle piazze del nord per ragioni comprensibili. Tra l’altro non capisco quale grande nome ci si aspetta per il dopo-Benitez e se un altro allenatore titolato potrà essere disposto a rischiare il suo curriculum in questo ambiente.
Napoli spesso è capace di diventare una piazza impossibile, abbiamo bruciato giocatori ed allenatori, a volte ci facciamo influenzare come dei bambini. Per chi non lo ricorda, abbiamo contestato anche Bianchi. Napoli-Atalanta del 19 ottobre 1986, l’anno del primo scudetto. Andamento molto simile alla partita col Palermo con errori vari e gol del pareggio orobico (2-2) di Incocciati alla fine con i fischi del San Paolo che si sentirono forti e chiari. E tanto per non dimenticare, nonostante gli innegabili risultati, anche Mazzarri è stato spesso osteggiato per via della sua testardaggine, del gioco non sempre brillante e degli errori difensivi. Beh, qua o si vincono scudetti e coppe dei campioni o l’anno è considerato fallimentare. Se permettete questo non è calcio, questa è follia.
Roberto Liberale