E venne il giorno della concordia. Non la nave, eh. Il giorno in cui il Napoli ridicolizza la Juventus, le rifila due pappine e la rispedisce a casa. Per la prima volta il Napoli batte in campionato la squadra di Antonio Conte. E lo fa giocando un primo tempo da grande squadra, venti minuti pressoché perfetti, in cui i bianconeri non riuscivano letteralmente a superare la metà campo. Il Napoli ha dato prova di grande forza e ha sconfitto una squadra che finora in campionato era stata battuta soltanto una volta, nella rocambolesca partita di Firenze. Perché la Juventus sarà sempre la Juventus – come scrive Botti e come ci si rende conto dall’aria che si comincia a respirare una settimana prima – ma c’è Juventus e Juventus. Questa è una squadra che fin qui ha ammazzato il campionato. Che mai, prima di ieri sera, era stata così sovrastata da un avversario. Almeno in Italia.
Faccio un piccolo passo indietro nel racconto. A due ore prima del match quando ci troviamo quasi solitari in Tribuna Nisida nel tentativo di stemperare la tensione. E qui il professor Clemente di San Luca fa coming out: «Ho sempre diffidato di questo calcio europeo di Benitez, non ci appartiene culturalmente, ma stasera non voglio vincere, stasera li voglio scamazzare. Voglio il gioco di Benitez». Ed eccoci al dunque. Arrivati alla serata in cui Napoli vuole togliersi gli schiaffi dalla faccia, vuole farlo come si deve, dimostrando di essere superiore. Napoli vuole dominare. E stavolta va bene Benitez. Nessuno fiata. Siamo nelle sue mani.
E Rafa non tradisce. Piazza in campo tutti e tre gli acquisti di gennaio: il sempre più sorprendente Henrique, Ghoulam e l’ormai “veterano” Jorginho. Al centro della difesa l’inamovibile Fernandez, ex oggetto misterioso, e davanti Insigne al posto di Mertens. Pronti via, il Napoli si impossessa della metà campo bianconera e non l’abbandona per venti minuti. Il giro palla è impressionante. Sembra tornato il Napoli delle prime apparizioni al San Paolo, quando il cuore di tanti tifosi si aprì per quel gioco che non si vedeva da tanto, troppo tempo. La Juventus sembra una squadretta. Callejon si divora un gol, Hamsik ne segna uno in fuorigioco, Buffon gliene toglie uno da sotto la traversa su assist da destra di Henrique ieri in versione Manfred Kaltz.
Da grande squadra, il Napoli rifiata. Lascia che la Juventus si affacci nella nostra metà campo e poi la punisce. Il primo tempo si chiude uno a zero. Nel pugilato, nei primi minuti dall’angolo avrebbero buttato l’asciugamano. Nella ripresa il Napoli ha controllato più la partita, del resto quei ritmi a fine stagione sono insostenibili. Conte si gioca tutti e tre i cambi e qualcuno mormora per l’attendismo di Rafa. Aspetta Benitez, ma non sbaglia. Fuori uno spento Higuain (anche un po’ sovrappeso) e dentro Pandev. Poi fuori Hamsik e dentro Mertens. E sono proprio i due nuovi entrati a capitalizzare l’ennesima fantastica rimessa con le mani di Pepe Reina. La partita è finita. Di minuti di recupero ne avrebbe potuti dare pure venti.
La Juventus è stata annichilita. Llorente e Osvaldo non sono mai esistiti: ridotti a comparse. Fino a qualche mese fa Fernandez sarebbe stato spedito a giocare in serie B. Altro che Strootman-lavatrice, Benitez lo ha rivitalizzato, roba da sedute spiritiche, lo ha richiamato in vita. Insigne ha giocato una partita straordinaria. In questi mesi l’allenatore spagnolo lo ha plasmato e lo sta ancora plasmando. Ne sta uscendo un altro giocatore, un calciatore con un profilo internazionale. Niente più finta e tiro sul secondo palo. Ma tante rincorse, tanti guizzi, accelerazioni. Fino alla fine. Una partita strepitosa la sua. Come quella dell’ormai solito Callejon. E di un Hamsik che per mesi è stata la controfigura di se stesso. Ma tutti meritano una menzione. Il primo tempo di Inler e Jorginho è stato commovente.
Nulla di sorprendente, per carità. Basta dare tempo a un allenatore (così come a qualsiasi altro lavoratore capace) e i risultati cominciano a manifestarsi. Cominciano. Del Napoli dello scorso anno ieri in campo c’erano, dall’inizio, Inler, Hamsik e Insigne (che faceva quasi sempre panchina). La squadra è stata rivoluzionata. Così come il gioco. L’allenatore nel calcio conta, eccome. Mai il Napoli – da 40 anni a oggi – aveva praticato un calcio simile. Quante cose sono cambiate in questi mesi: prima non si parlava d’altro che del nostro centrocampo in costante inferiorità numerica, di un allenatore che si ostinava a giocare con quattro punte. Ieri sera nessuno ha fiatato. Nessuno se n’è reso conto che eravamo un uomo in meno in mezzo al campo. Eppure abbiamo giocato col solito 4-2-3-1. Insomma, ci stiamo abituando anche noi. I cambiamenti spaventano sempre. E forse – come sostiene Trapani – a noi napoletani spaventano ancora di più.
Forse è vero, questo gioco è culturalmente distante da noi, da come abbiamo sempre lasciato che ci dipingessero. O forse questo calcio ci restituisce quella nobiltà, quel rango che Napoli ha via via smarrito. In tanti ambiti. Per carità, abbiamo battuto la Juventus mica abbiamo vinto la Champions. Ma è innegabilmente una vittoria diversa. Forse quest’anno non arriveremo secondi, però i primi in classifica li abbiamo battuti (l’anno scorso no). E anche i secondi (per ben due volte). Così come abbiamo sconfitto la Fiorentina. Da tutte abbiamo anche perso, per carità. Non a caso, a inizio campionato, scrivemmo di anno di transizione. La transizione sta avvenendo. Nulla è più come prima. E, a differenza di prima, questa squadra sembra ancora lontana dal raggiungere il suo picco. Di strada da percorrere ce n’è ancora tanta, i margini di miglioramento sono sotto gli occhi di tutti. Assemblare tanti giocatori nuovi, far capire agli “anziani” il nuovo modulo di gioco, farlo recepire anche alla città, alla tifoseria. Non era facile. E non lo è. Ora siamo tutti felici, ma al prossimo pareggio interno vedremo. La strada, comunque, è tracciata. Ed è una strada che promette tanto. Dopo la bandiera, il Napolista sta pensando di stampare una t-shirt col volto di Rafa. E la scritta: “Stiamo lavorando per voi”.
Massimiliano Gallo
p.s. ritrovarsi a fine partita, mentre ero intento a recuperare la bandiera, l’abbraccio di un Claudio Botti ebbro di felicità, che grida “provinciale è bello”, è impagabile.