Mettiamo la notizia in testa, come si faceva una volta. Siamo usciti anche noi sabato sera dal San Paolo piuttosto affranti e preoccupati. Contro il Chievo, il Napoli ha giocato una delle partite più brutte della stagione. Ne siamo consapevoli. Quasi mai un cambio di ritmo, alcuni giocatori chiave piuttosto spenti (su tutti Hamsik e Higuain). Soltanto il gol di Abiol ci ha salvati da una sconfitta che pareva irrimediabile.
Detto questo, un paio di cose vanno dette. In una serata grigia abbiamo colpito tre pali (e sì, perché le partite si vincono anche così, con due tiri in porta), Higuain si è divorato un gol che se l’avesse fallito Pandev ora sarebbe riparato in Macedonia nell’ufficio del governo (per non parlare del movimento sbagliato sul cross rasoterra di Callejon nel primo tempo), così come Albiol ha calciato alto da favorevolissima posizione, quella del gol.
E, ancora. Sì, qualcuno ha fischiato. Per carità, legittimo. Ma la squadra non è scappata. Non c’era un clima ostile. Al punto che – come ormai fanno sempre – i giocatori sono andati a salutare i tifosi sotto la curva A. Sanno che non c’è contestazione, ma solo malumore per una prestazione effettivamente inguardabile.
E poi c’è stato quello striscione. Che ovviamente ha fatto subito il giro dei media. Ieri sera è stato ripreso persino da Gene Gnocchi alla Domenica sportiva. Per carità di patria, il comico ha letto cacare con la c e non con la milanese g come avevano scritto gli ultras denotando una sudditanza culturale nei confronti del Nord, come giustamente scritto su facebook da Gennaro Carotenuto.
Perché adesso anche i più accaniti antirafaeliti stanno concentrando le loro attenzioni su De Laurentiis. Sul tesoretto. Sulle sue affermazioni estive. Ecco, su una cosa vorrei fugare ogni dubbio: col Chievo non abbiamo pareggiato per colpa del mercato. Col Chievo, con quegli uomini, avremmo dovuto vincere. E lo sa anche Benitez, ovviamente. Così come sa che la sua squadra in sole due settimane – da Verona al Chievo – ha cambiato completamente volto.
Poi c’è il tema mercato, per carità. E qui, proseguendo il ragionamento della scorsa settimana di Vittorio Zambardino, il filo da seguire è abbastanza chiaro. Il Napoli sta cambiando pelle e il processo dovrebbe essere saldamente nelle mani di Benitez. Non si tratta – per rispondere in parte a Luca Sarno – di avere i paraocchi, ma di osservare quel che sta avvenendo. Non si tratta di rispolverare i palloni di Montervino. Ma di guardare in faccia la realtà. De Laurentiis è un imprenditore. Ha trasferito a Napoli la sede principale delle sue aziende. Il Napoli ora è il suo core business. E, diciamolo, non è un presidente demagogo. È uno che la sera di Napoli-Arsenal non parla della lacrime di Higuain, ma degli appostamenti di bilancio. Nei suoi occhi brillano i dollaroni, lo sappiamo.
Lucra sulla nostra passione? È da vedere. Noi la passione ce l’avevamo pure in serie B, in serie C, con Nicolini, Catellani, Masi. Ora abbiamo Higuain e abbiamo avuto Cavani. E non solo. E, di conseguenza, vogliamo vincere. Ed eccoci al punto. Ma chi più di Benitez è una garanzia che questa società voglia vincere? Questo non capisco. E non può avvenire dall’oggi al domani. Perché il secondo posto dell’anno scorso non è il secondo posto di un atleta rivelazione, non è il Pantani del Mortirolo nel ’94. No, è il canto del cigno di una squadra che non ne aveva più. Tanto è vero che i suoi principali interpreti sono andati via: Cavani e Mazzarri. La Roma, dall’ultimo secondo posto a oggi, ha patito le pene dell’inferno.
Il nodo è Rafa. Perciò cerchiamo di interpretare ogni suo minimo gesto. Zambardino, giustamente, lo ha visto nero, arrabbiato. Forse è così. Ma state e stiamo sicuri che, se così fosse, lo capiremo presto. Benitez – lo ha dimostrato all’Inter ma non solo – non è uomo da rimanere in un luogo dove non vengano mantenute le parole date. E la parola non era quella di vincere lo scudetto, ma di provare a vincere tutte le competizioni. Non solo quest’anno. Ma sempre. Cambiare la mentalità per costruire qualcosa di duraturo.
Non c’è nessuna difesa di ufficio di nessuno. Pensiamo che gente come Benitez, Higuain, Mertens, Albiol, Callejon non abbia la minima difficoltà a trovare una sistemazione adeguata alle proprie ambizioni. Il Napoli è come se fosse in franchising. Certo è un male, ma il Napoli è questo: una ditta individuale, non ha una struttura societaria né mai l’avrà. E, date queste condizioni, Benitez era ed è il meglio che ci potesse capitare. Poi, bisogna aspettare che il lavoro dia i suoi frutti. Come? Aspettiamo da dieci anni? Abbiamo l’impazienza di chi capisce che può arrivare al traguardo. Quel traguardo, però, ci sta un po’ snaturando. Cominciamo tristemente ad assomigliare sempre più a quei milanesi che tanto sfottevamo qualche anno fa. Oggi questa è la situazione. Che ci piaccia o no. A noi, per dirla alla Totò, piace. Altrimenti non avremmo portato la bandiera di Rafa al San Paolo.
Massimiliano Gallo