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La lezione di Dortmund: uno stadio, un pubblico e una partita che riconciliano col calcio

Un paio di cose che mi restano della sfortunata notte di Dortmund. Un prepartita emozionante, con il centro della città invaso da sciarpe azzurre, ragazzi e ragazzi delle due tifoserie che gli uni accanto agli altri bevono un bicchiere mescolati tra le bancarelle del Natale. Uno stadio spettacolare, con un pubblico veramente degno della Champions. Si, lo so, ora qualcuno si arrabbia e ci scrive qualche post offensivo, ma ho sentito 50 mila tedeschi cantare per tutta la partita e incitare uno per uno, chiamandoli per nome, tutti i giocatori di casa, eppure sono sicuro che amano la maglia esattamente noi. Pensate che hanno intonato il loro inno, che poi è quello del Liverpool, con una coreografia da brividi, mentre a noi, che un inno tutto nostro ce l’abbiamo da almeno 40 anni, quando parte la musica di “Oj vita oj vita mia” ci tocca persino sentire qualche fischio. Negli store del Borussia si ascolta a palla una compilation di canzoni dedicata alla squadra, la stessa sparata allo stadio prima della gara, al San Paolo invece è vietato ascoltare “Il ragazzo della Curva B” di Nino D’Angelo e – se non sbaglio – persino “Napule è” di Pino Daniele.

Per tutta la partita anche noi abbiamo incitato il nostro Napoli, il settore ospiti si è fatto sentire alla grande. E si capiva che i borussi ci temevano. Ma quel coro «onorateci» che gli ultras hanno rivolto agli azzurri alla fine della gara che significa? Ci hanno onorato giocandosela, e anche se abbiamo perso — meritatamente, peraltro — siamo usciti a testa alta, in una notte bella ma sfortunata. Lo ha scritto Gianni Mura su Repubblica, e io condivido in pieno la sua analisi. Siamo in corsa fino all’ultima partita in un girone di ferro dove 12 punti potrebbero non bastare per passare il turno, il disfattismo che circola in queste ore è immotivato. In campo, si è visto un Reina strepitoso e un bel gol di Lorenzinho. Peccato per Higuain che per la prima volta mi ha fatto rimpiangere Cavani. Ma meritano un applauso anche quelli che hanno deluso perché tutti ci hanno messo il cuore. E per favore non mi parlate del rigore. Generoso sicuramente, ma il Borussia ha avuto una quindicina di palle gol, noi però abbiamo fatto il nostro e se avessimo fatto risultato non avremmo rubato nulla.

Buonismo da tifoso occasionale? A parte che ci sarebbe molto da dire su questa categoria che tanto sta a cuore ai nostri bulletti, forse è così. Sarà per l’effetto di questo stadio che ha fatto davvero «fattore campo» e ha messo pressione all’arbitro protestando persino per un fallo contro fischiato a metà campo in pieno recupero e con il risultato acquisito. Però giocare partite come questa trasmette una grande emozione e un pizzico di amarezza. Lo so, volete vincere. Tutti lo vogliamo, ma per raggiungere grandi traguardi (lo so, sto sparando una banalità che piacerà ai soloni delle televisioni) si passa anche da sconfitte come questa.

E comunque la lezione più bella che mi porto dall’Iduna Park è un’altra. A fine partita, senza più un filo di voce per quanto avevo gridato (e a dire il vero anche insultato i tedeschi durante la trance agonistica) mi sono ritrovato ad applaudire in piedi vincitori e vinti e poi, mentre lo stadio si svuotava, a stringere la mano ad un gruppo di tifosi tedeschi, lo stesso che aveva visto la partita accanto a me e mi aveva sentito strepitare come un invasato per 93 minuti, scambiandoci i complimenti per le nostre squadre e un arrivederci, magari in un’altra Coppa. Alla fine, questo spontaneo “terzo tempo” ha addolcito anche il sapore della sconfitta e mi ha ricordato cosa ci facevo lì, in quel momento, al freddo di Dortmund: ero andato a vedere una bella partita di calcio. Punto e basta.
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