C’è voluto stamattina l’ambulante che vendeva sul marciapiede affollato di via Toledo rotoli di carta igienica incelofanati con il nostro stemma per restituirmi al clima del big match.
Da quando lavoro e trascorro gran parte del mio tempo sociale a Potenza la percezione è assai affievolita. Vivo infatti la condizione dello juventino medio, essere il più consistente gruppo di minoranza, in una realtà in cui la maggioranza indigena non vive in una condizione permanente di inimicizia assoluta nei nostri confronti.
Stasera un amico napolo-lucano (assai nemico su questo fronte) mi ha invitato a un importante appuntamento elettorale, domenica pomeriggio a Potenza (domenica 17 si vota per la Regione Basilicata): tanto lo sai che tu è meglio che a Napoli non ci stai, ha motivato. Nel suo sentire, insomma, mi faceva un piacere. So per certo che invece il dover mancare all’appuntamento gli strazia il cuore.
In realtà per molti anni l’appuntamento io non l’ho mancato. Eravamo in tre i giornalisti tifosi della Juve nella seconda metà degli anni Ottanta, gli anni trionfali del Napoli di Maradona, gli anni del trauma e della vergogna per noi. Ben presto fui epurato e mi invitarono ad andare a ricongiungermi ai miei simili, che venivano ospitati nella tribuna Vesuvio, un piccolo settore dei distinti riservato ai tifosi della Juve (all’epoca la gestione della sicurezza negli stadi era molto meno paranoica)
Ero talmente schifato della dirigenza e dei tifosi che avevano festeggiato l’Heysel che mi sarei messo in sonno come patuto. Ancor’oggi sono convinto che non puoi rivendicare la terza stella (che ci meritiamo) se non hai il coraggio civile di restituire la Coppa del 1985, chiedendo scusa per l’inciviltà dimostrata. Mi sembrava però altrettanto vigliacco buttare il bambino per l’acqua sporca.
E così, in occasione degli scontri diretti, continuavo a scommettere, e a perdere. Oggi grazie a Google posso ricostruire che l’1-3 a Torino nell’anno dello scudetto mi costò 40 flessioni in classe (all’epoca insegnavo in un Itis a San Giorgio a Cremano) mentre il 3-5 di due anni dopo una cena luculliana con amici in un ristorante di Baia (mi ero trasferito di casa a Bacoli e di scuola a Pozzuoli)… Della partita di ritorno, che lanciò invece il Napoli verso lo scudetto, ho preciso, formidabile ricordo. Il Napoli dopo una corsa in testa aveva rallentato il passo e l’Inter si era ravvicinata riaprendo i giochi. Al vantaggio iniziale di Renica (ci avrebbe fatto ancora male) aveva risposto Serena ma pochi minuti dopo il piccolo Romano decise il match con un guizzo. L’incrocio con il risultato della diretta inseguitrice (un pareggio? Una sconfitta) gasò il pubblico in maniera straordinaria. A una decina di minuti dalla fine partì dalla curva e si diffuse all’intero stadio, Oi vita oi vita mia. E non la smisero più, convinti, a giusta ragione, che finalmente il cielo sarebbe caduto sulla terra. Mi sarei messo a cantare anch’io, pensando alla felicità dei miei amici… E ancor’oggi, che sono passati più di 25 anni, al ricordo mi vengono i brividi. Perché, a ben vedere, la Juventus è una squadra fortissimi (e comunque chi rinnega una volta non è più buono per niente) ma i tifosi del Napoli lo sono molto di più…
Ugo Maria Tassinari
Juventus-Napoli per me, bianconero che nel 1987 si emozionò
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