Scusate un attimo, ma non si era detto che “Noi ora facciamo possesso palla, imponiamo il nostro gioco, non subiamo più il ritmo dagli avversari”? Non mi avevate giurato che non avremmo più sofferto perché Rafa è una fede e Britos il suo profeta? Ma perché mi avete raccontato queste cose? Io già non ci volevo credere, poi a furia di ascoltare a voi, ho cominciato a sentirmi come l’unico fesso che non capiva nulla, legato a un vecchio Napoli che mi era cambiato sotto il naso nello spazio di una sola estate, senza che mi accorgessi di nulla.
Ma perché mi avete detto che “Con l’Atalanta abbiamo fatto 328 tiri in porta e solo tu hai contato giusto due occasioni”? Perché avete sventolato statistiche in cui il nostro possesso palla era del 113 per cento? Sapete che risultato avete ottenuto? La sofferenza. La mia, almeno. Non so voi, ma ieri sera ho sofferto come un capretto a Pasqua.
Vi faccio un’altra domanda: si può dire che la partita col Milan è stata una spantecata tremenda per chi tifa? Dieci minuti meravigliosi e ottanta di paura e spavento, mancava solo la puzza di sudore dal boccaporto. Quando vai in vantaggio su un campo difficile, hai due possibilità: o fai possesso palla, oppure ti affidi al contropiede. Non abbiamo fatto né l’una né l’altra cosa, siamo rimasti lì a galleggiare in mezzo al campo, divisi tra la pretesa di giocare da grande e il tragico sospetto di non saper soffrire da piccola, o almeno da adolescente. Confesso che a un certo punto ho cominciato a sperare nei lanci lunghi (oddio, ho scritto “lanci lunghi”. Che espressione volgare).
Intendiamoci: a San Siro si soffre sempre. Anche quando si vince. Non c’è nulla di male. Abbiamo fatto due gol bellissimi ma poi abbiamo ballato parecchio. Il Milan ha avuto tante occasioni. Il migliore in campo è stato il nostro portiere (e Higuain, certo). Tutto normale, se non fosse che per un mese in tanti – anche qui sul Napolista – hanno raccontato un’altra storia. Quella di una grande squadra, diversa, più matura, con un modulo di gioco spregiudicato che ci avrebbe messo al riparo dagli affanni.
Allora, cari adoratori del culto rafaelita, ve lo dico veramente con affetto: non avrete un po’ esagerato con l’ottimismo? E’ giusto riconoscere a Benitez un sacco di meriti e attribuirgli innumerevoli qualità, non ultima quella di saper allenare i giornalisti. Però dinanzi a questo innamoramento collettivo può venire spontaneo fare un passo indietro e provare a vedere le cose con più distacco. E allora – e qui se stessi parlando sussurrerei – diciamo pure che qua e là abbiamo avuto un po’ di fortuna. Per carità, nello sport qualche botta di culo non fa mai male.
Quello che fa male, invece, è illudersi troppo, magari vedendo cose miracolose che sfuggono agli occhi di noi miscredenti. Perché qui, noi che non stiamo appicciando ceri nel tempio di San Rafa, continuiamo serenamente a credere che questa squadra, pur bella e forte, abbia ancora dei limiti evidenti. Il più chiaro è la scarsezza della rosa a fronte di tanti impegni. Ma anche questo non si può dire. Con il vostro Rafa-Lello-Lelluccio, anche Radosevic è megli’e Pelè.
Giulio Spadetta
Cari napolisti (ormai rafaeliti), si può dire che il migliore è stato Reina e che abbiamo avuto culo?
Giulio Spadetta
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