Siamo ricchi e non ce ne accorgiamo. Così dice Deloitte, azienda leader di revisione dei bilanci. Siamo il 15° club in Europa per fatturato, circa 148 milioni di euro, 34 in più rispetto all’anno precedente. Ué. Certo, la capacità di generare entrate non è tutto. Il guadagno è un’altra cosa. Il potere d’acquisto è un’altra cosa. Ma il fatturato, quando l’industria è sana, è un bell’indicatore di prosperità. E del Napoli sappiamo ormai quasi per default che di industria sana si tratta. Perciò il momento è giusto. Sani e ricchi. Il momento è adatto per domandarsi: ma tutta questa ricchezza, mo’, dove ce la vogliamo alloggiare?
Non vorrei essere volgare, scusate se parlo di soldi, mammà diceva che i soldi sono sporchi (“vatti a lavare le mani che hai toccato i soldi”), perché lei aveva una visione luterana, il denaro come sterco del diavolo. E però una visione luterana, allo stesso tempo, implica un rapporto medievale con il denaro. Dunque di distacco. Distacco etico e psicologico. La centralità del denaro nella società interviene nell’era moderna, io invece sono cresciuto con quell’idea là, medievale, con mammà che mummuléa contro il tizio che “i soldi se li vuole portare dentro al tavùto”. Ora, io capisco che non si prendono lezioni di ricchezza da uno squattrinato, da un ingenuo come me che conservava i soldi dentro al porcellino. Ma gli ingenui come me la gioia la provano quando il porcellino si rompe. Quando il denaro torna alla sua natura e si fa strumento. Ora, ripeto, senza offesa: questo porcellino lo vogliamo scassare?
Sono volgare, lo so. Me ne scuso. Sembro volgare perché, a parte mammà, la quale giudicava rozza l’accumulazione, qui in giro ormai passa per deplorevole l’idea che il denaro si spenda. Dice che è da cafoni. Sarebbe un basso istinto. Ma una spesa è una necessità. Se proprio non è una necessità, sarà comunque un bisogno. Cosa c’è di cafone in un bisogno? Con chi ce la vogliamo prendere, la colpa è nostra. Di noi napoletani. E’ che dentro certi panni non ci sappiamo stare. Dev’essere il retaggio secolare del chiagni e fotti, siamo ancora Totò e Peppino che mettono i soldi sotto la mattonella, siamo i personaggi di Eduardo che fanno il contrabbando e “sotto ‘o secondo materazzo è tutto café”. La ricchezza? No, non sia mai, nascondiamola. Non dico di vivere come Ottone degli Ulivi, detto Zazà, quello che se ne fotte dei debiti e vuole la tomba, una colonna un puttino, un puttino una colonna. Dico che ci sarebbe la sanissima via mostrata da Troisi, ciascuno investe secondo le proprie disponibilità. Se si deve comprare il televisore a mammà, cinquemila lire io, cinquemila lire Patrizia, un milione e due Alfredo. Troisi aveva inventato il fair-play finanziario, mica Platini.
La ricchezza è come il tennis. Il segreto sta nella testa. Djokovic batterà sempre il numero 100 non tanto per le differenze tecniche, ma per le proprie convinzioni mentali, per le immagini interne, la consapevolezza di sé. Per il modello di sé che ha, che insegue e che sa imporre. Alla fine, diventare ricchi è facile, difficile è altro. Alt. Lo devo dire meglio. E’ più facile diventare ricchi che agire da ricchi. Che significa. Significa che noi le nostre cinquemila lire storto o morto ce le mettiamo. Noi tifosi, dico. Ma il milione e due? Se c’è, e Deloitte dice che c’è, da qualche parte lo vogliamo alloggiare? Una spesa non è ostentazione triviale di ricchezza, non è volgarità, non è vantarsi che l’altra sera a casa è venuto Richard Burton e m’ha vomitato suha moquette (Verdone, Borotalco). Questo è il colossale equivoco. Un poeta arabo, Mu’ in Bsisu, scrive che “i ricchi hanno Dio e la polizia, i poveri hanno le stelle e i poeti”. Io sono Ciuccio e sono povero, non me ne vergogno, e mi dà pure orgoglio sapere che con me stanno le stelle e i poeti. Ma se fossi ricco, non mi vergognerei lo stesso. E diciamo la verità, quando sei ricco e dalla tua parte ci sono Dio e la polizia, allora è più facile vincere qualcosa.
La domanda perciò diventa: ma noi vogliamo vincere qualcosa? Altrimenti passiamo per ricchi scemi. Lo so, lo so che il Napoli ha speso 166 milioni sul mercato in 4 anni. L’ho controllato sui siti specializzati di calcio mercato (transfermarkt.de). Fact Checking: si porta assai. Del resto, squadre che hanno un fatturato leggermente inferiore a quello del Napoli hanno speso più o meno altrettanto: il Lione 123,4 milioni in 4 anni, il Marsiglia 101,2. Non parliamo di sceicchi o di chissà quali potentati: il Lione e il Marsiglia. E allora ti viene pure di dire Fuck Checking, quando 40 di questi 166 milioni se ne sono andati per Rosati (2,9), Fideleff (2,2), Chavez (1), Victor Ruiz (8,5), Sosa (3), Hoffer (5), Datolo (5,7), Navarro (4). Voi lo sapete che cosa si compra con 40 milioni, vero?
Chiariamo una cosa e finiamola qui. Non sto dicendo: preside’, caccia ‘e sorde. Mi guardo intorno e semmai dico preside’, spiegaci ‘e sorde come sono stati cacciati. I poeti e le stelle già stanno con noi da tanto tempo, adesso Dio e la polizia un poco pure ci farebbero comodo. Spiegaci se le finestre di mercato di gennaio servono per rafforzare la squadra o riordinare i bilanci. Perché noi con lo scudetto in ballo magari ci aspettavamo – non dico Messi, non farci tanto fessi – ma un Giuseppe Rossi. Se l’ha preso la Fiorentina, potevamo prenderlo anche noi. Invece ci troviamo con Mazzarani, con Medina. Ovviamente non interi, ma la metà, una metà da girare in prestito, con un obbligo di riscatto, forse parziale, forse per i sei ottavi, i cinque noni, i tre settimi, forse, va’ capisci. Spiegaci preside’ se le finestre di mercato di gennaio sono un’occasione per rinforzare la squadra e provare a vincere o un’opportunità di finanza creativa. Non ci sarebbe niente di male. Ma spiegacelo, noi stiamo qua.
Il Ciuccio