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Quel ragazzino marocchino con la maglia del Napoli ci dice che qualcosa sta cambiando

Bazzicando saltuariamente gli ancora troppo numerosi campi profughi mediorientali ho incrociato spesso uomini e ragazzini vestiti con maglie da calcio di club europei. Nel 2006 a Chatila un giovane palestinese, appena tornato dall’Iraq, mi parlava con la maglietta bianca di Zidane del Real Madrid.I giovani del Fronte Popolare per ragioni politiche preferivano il rosso di Ronaldo allo United. A Betlemme, in un centro sociale nel campo di Dheishe chiamato Ibdaa (creatività) un agitatore politico che di nome fa Ziad Abbas provocava la mia già di per se labile integrità morale spiegandomi «che noi i profughi palestinesi dobbiamo necessariamente tifare le squadre del potere come Milan e Real Madrid, altrimenti come possiamo ambire a una soluzione non troppo lontana per la nostra questione nazionale?».

Di magliette targate Ibrahimovic se ne incrociano ancora di tutti i colori, dallo zebrato fino al rossonero passando per blugrana e neroazzurro. Una tavolozza talmente variopinta per un solo nome che qualcuno forse per errore, per auspicio o solo per gioco ha attribuito quel nome alla maglia bianca con bordi celesti dell’Olimpique Marsiglia. L’autore ha prodotto quella maglia ignorando il successivo approdo del giocatore più apolide del mondo al nemico di sempre, quel Psg presieduto da sceicchi arabi ma che vanta una tifoseria di soli occhi chiari e visi pallidi. Chi ha la pelle molto scura, in qualunque angolo di mondo arabo ma anche dei nostri mercati europei, indossa ancora oggi con orgoglio la maglia nerazzurra di Eto’o o blue di Drogba.

Dal 2007 in poi ogni altra squadra e ogni altro grande giocatore ha dovuto cedere una quota di popolarità a Messi. Che sia quella della nazionale argentina o meglio ancora della squadra oggi sovrapponibile a tutta la Catalogna per stradine e mercati è tutto un pullulare di aspiranti Messi. A Beirut lo scrittore Rashid al Daif gratificava le mie velleità anticolonialiste parlandomi di una modernità imposta, più che proposta, dall’Occidente al mondo arabo. «Che geniale invenzione l’antenna parabolica – mi ha detto – consente a milioni e milioni di persone di patire la medesima emozione per la medesima traversa colpita nel medesimo istante. Ma perché le squadre che suscitano questa emozione devono essere sempre club europei?». Tesi da me più che condivisa considerando che nell’ultima sua vita la squadra mia del cuore fino ad allora militava in tornei ancora non del tutto popolari al grande pubblico mondiale.

Parole sacre fino a quando, durante l’ultima estate, girovagando per la medina di Salé ho notato un adolescente marocchino che, a guardia di un negozio di vestiti, inconfondibilmente indossava la maglia azzurra del Napoli. Nessuna possibilità di fraintendimento: la maglia azzurra con la scritta dello sponsor corrente e dietro nessun nome. Maglia scevra da qualunque personalismo. Allora mi sono chiesto: quale modello migliore, modello laico, socialista e progressista condivisibile dalle masse arabe? La verità è che auspico di tornare presto nelle città arabe e di ritrovare subito ragazzi e non ragazzi con addosso una maglia del Napoli. Affinché questo avvenga è necessario che la squadra si fidanzi fedelmente con Costanza. Donna questa quasi mai amabile ma sempre lusinghiera. Donna in grado di garantirti la popolarità necessaria sui tg di mezzo mondo. Quale occasione migliore di abbracciare Costanza a dispetto di una vecchia signora?

Alessandro Di Rienzo

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