I simboli sono intoccabili. A ogni fine articolo voglio sempre rimarcarlo ricordando che la storia, specie quella gloriosa, va sempre tenuta in bacheca e in bella mostra e mai dovrà essere intaccata. La 10 non si tocca, appunto. La maglia azzurra che fu dell’indiscusso miglior calciatore di tutti tempi non sarà in nessun caso ammainata e senza eccezione rappresenterà in eterno il nostro orgoglio immortale. È chiaro. Punto.
Dico questo per evitare che si facciano paragoni che non mi sfiorano le meningi.
Il Sommo era tutto e lo si percepiva al momento. Il Pocho è invece ancora qualcosa di indefinibile. Siamo tutt’ora nel bel mezzo della sua carriera e sono certo che il meglio debba ancora arrivare. L’Immenso era, è, e sarà imparagonabile. Il nostro deve ancora mangiare prati immensi per essere accostato a qualsiasi altro monumento, per cui, stiamo parlando di cose, elementi, entità completamente diverse. Altri mondi, altre galassie. Altri infiniti. Penso che anche i più giovani e i più lavezziani concordino su questo fatto. Il Messia non è tornato, non allarmiamoci.
Fatta questa doverosa premessa, devo però ammettere che vedere il Pocho con la fascia da capitano mi ha emozionato. Gli sta bene, gli dona e lo responsabilizza. Sembrava persino più bello, eh. Sabato è stato un marziano e non so quanto quella fettuccia scura al braccio abbia avuto il potere magico, come la polvere di stelle, di rinvigorirlo, ma io l’ho visto davvero volare. Con grazia e con forza. Come non so quanti abbiano avuto la mia stessa sensazione. A me è venuto un brivido improvviso, un tuffo al cuore e al passato, raggranellando ricordi ed emozioni che albergano da sempre in me e che d’incanto hanno fatto pensare a Lui e al florido periodo in cui il sogno combaciava con la realtà.
Ho una grande ammirazione per Paolo Cannavaro, così come per Grava (bentornato!) e per il mitico pal ’e fierro Bruscolotti, che ritengo veri e inossidabili cuori azzurri ma, secondo la mia opinione, Lavezzi oggi, è il vero capitano del Napoli. È il vero leader, l’anima. È cambiato tanto e in questa stagione lo sta dimostrando. Degli episodi che lo vedevano protagonista fuori dal campo se ne parla sempre meno e se lo ravvisano anche indirettamente interprete, egli glissa, sorride, prende il tapiro e guarda avanti. Non è un simbolo, non è ancora una bandiera, e forse Paolo, napoletano doc, può avvicinarvisi di più, ma lo ritengo il capitano a tutti gli effetti perché in molti ci identifichiamo in quel carattere così particolare. Allegro, furbo, generoso, a volte introverso, spesso irriverente e che soprattutto non molla mai, “s’fa sicc ma nun more”.
Quest’anno, nonostante sia un lavezziano che esagera affondando l’obiettività in un mare di cuoricini e che s’è lasciato accendere dall’animo folle del piccolo apprendista elettricista, parlo poco di lui. E non ho voluto tessere le sue lodi per non rischiare di essere troppo mieloso e poco equilibrato nei giudizi ma, alla visione della fascia, condita con una prestazione da campione, non ho saputo più resistere. Non è stata però la straordinaria ultima partita a farmi impazzire, sta facendo un grande campionato e in Champions nelle 5 partite disputate è stato sempre uno dei migliori. Quella con il Lecce è solo la punta dell’iceberg, perché il Pocho, eccetto i match con Fiorentina e Cagliari, ha dimostrato una maturità e una freschezza fisica e mentale che mai gli può essere stata riconosciuta in passato e, se vogliamo, si può anche dire che in alcune gare, lì davanti, abbia predicato nel deserto. Sono ormai convinto che ora graviti nei pressi del punto più alto di questa parabola napoletana.
Il suo primo anno fu eccezionale, certo. Un autentico sconosciuto, rapido e dribblomane, si rivelò la vera rivelazione di quel torneo. All’epoca era più rotondo, aveva il 7, qualche tatuaggio ancora da verniciare e un taglio di capelli tipo Pino la lavatrice. Gli avversari poi hanno iniziato a conoscerlo e a temere, e hanno cercato di limitarlo con moduli tattici alternativi e gabbie difensive in campo. Mentre fuori dal terreno di gioco qualche suo comportamento ha continuato a far storcere più volte il naso non solo ad alcuni tifosi, ma anche allo stesso presidente che in svariate occasioni ha dato pubblici segni “scapigliati” di insofferenza rivolti a lui e al suo fidato procuratore. Tra alti e bassi però, è giunto, insieme ad uno straordinario gruppo, a conquistare un posto Champions inaspettato che tuttora rappresenta il miglior piazzamento mai raggiunto in epoca moderna.
Quest’estate poi, si era paventata anche la possibilità di cederlo, con grandissime palpitazioni da parte del sottoscritto, ma una galeotta clausola rescissoria forse ci salvò. In seguito, tornato dall’Argentina, con il nullaosta di Mazzarri, che ha sempre puntato su di lui, andò ad allenarsi una settimana in Sardegna per rilassarsi e cercare una tranquillità che la delusione di Coppa America gli aveva procurato. Fu criticatissimo per questo, più che per le sue opache prestazioni sudamericane. Così come il mister e la società che, a parere di alcuni, sarebbe diventata schiava delle bizze del piccolo argentino, tanto da influenzare addirittura le scelte di mercato(Chavez e Fideleff?!) e non solo. Voci, richiami, e finte ammonizioni. Ma si sa, nessuno è perfetto, né io, né lui, né ognuno di noi e questo lato umano, tanto criticato soprattutto per il ruolo che interpreta sotto gli occhi di tutti, a noi che lo amiamo, piace da morire.
Ci piace quando corre, contrasta, dribbla, cade, si rialza, tira, si accascia e fa stretching accavallando le gambe per 5 secondi, per poi ricorrere, contrastare, ricadere e rialzarsi… dal primo all’ultimo secondo della partita, senza mai tirarsi indietro, anche nelle sue domeniche peggiori. Ci piace perché è sempre lì e le sue debolezze, che possono essere rappresentate da un paio di gol mangiati o una palla perduta, ci fanno incazzare al momento, ma se considerate a fronte di ciò che fa in campo ogni partita, non possono scalfire quello che invece è il simbolo dell’instancabile campione che si trascina la nostra squadra sulle spalle e mezza squadra avversaria per tutto il campo, per novanta minuti e più.
Sì, lo trovo cambiato. Mi dà l’idea di essere più presente, più maturo e molto concentrato (nell’ultima ha anche azzeccato quasi tutti i calci d’angolo, rarità assoluta). Mi voglio illudere che sia così, e che prima di Natale, con un sogno in tasca, ne segni un altro paio e non si faccia strategicamente ammonire, eh. E soprattutto con una gran voglia di spaccare il mondo e vincere. Ecco. Credo che anche la Champions gli stia conferendo esperienza e maturità e spero che domani faccia i gol che s’è divorato l’anno scorso al Madrigal che ci garantirebbero un traguardo che il Napoli nella sua storia ha raggiunto solo una volta. Venti anni fa, quando non esistevano i gironi e nemmeno il turn over. Turn over che Lavezzi farebbe bene a non osservare, visto che il suo attuale stato di forma gli permette di giocare una partita al giorno. Salvo recupero energie a Porto Rotondo, ovviamente.
Ci piace Lavezzi, da morire. E il coro a lui dedicato sta ammorbidendo anche l’estrema coerenza dei tifosi più legati alla maglia. Sabato infatti, ad un certo punto del match, quel “Olè, olè, olè, olè, Po-cho, Pocho” ha riecheggiato per tutta Fuorigrotta, eh.
Ci piace perché piace ai compagni. Ci piace perché piace alla gente. Ci piace perché lui è il 22, l’anima pazza del Napoli che non molla mai. Cavani di sicuro non gli è da meno in questo, ma mi dà l’impressione di essere un po’ più distaccato. Sembra quasi che abbia un’aura divina che lo ricopra. Quell’aura da intoccabile che lo scugnizzo carnale non possiede. Il Pocho, invece, ha qualcosa di magico. Lo si legge nei suoi occhi. E sono occhi svegli che mi ricordano la strada, la storia e Qualcuno del passato che l’ha già fatta…
La 10 non si tocca, ad aeternum, ma diamo la fascia di capitano al Pocho.
Forza Napoli Sempre
Gianluigi Trapani