Che nessuno si azzardi a dare la colpa a Fideleff: io lo incorono migliore in campo. A maggior ragione se Mazzarri, come ho appena sentito in tv, sostiene che si è perso a Chievo per un errore fortuito del difensore argentino, che gli avversari non ci hanno fatto un tiro in porta e che il Napoli ha fatto una grande partita. Mi è sembrato quasi compiaciuto quando ha insistito sul fatto che il gol lo abbiamo preso con Inler, Cavani e Hamsik in campo: è la conferma che il nostro allenatore, come altri suoi predecessori eccellenti (ma dal curriculum decisamente migliore) è vittima della propria presunzione.
Quando un tecnico – subissato di complimenti – si convince che le partite si vincono grazie a lui, e non ai suoi fuoriclasse, è il segnale che rischia di perdere la bussola. Capitò a Sacchi, a Lippi, oggi accade al nostro amatissimo.
La partita a Chievo, contro una squadra ridicola, l’abbiamo persa nel pomeriggio, quando Mazzarri ha annunciato il suo folle turn over, nella convinzione che la sua idea di gioco, la sua mentalità vincente e la sua sapienza tattica avrebbero comunque fatto la differenza. In campo si è visto il contrario: stravolgere tre reparti su tre, far esordire in campionato due difensori giovani affidandoli a un centrale improvvisato come Aronica (che peraltro se l’è cavata bene) significa ancorare psicologicamente la squadra alle sabbie mobili. Privare il centrocampo di una percentuale minima di fosforo ci ha relegati nel buio dell’impotenza, per non parlare dell’impalpabilità di un attacco affidato a una prima punta attualmente impresentabile, come Pandev, affiancato da due zanzare fuori ruolo e così leggere da schiacciarle con un grissino.
Tutto questo non è turn over, è masochismo, è presunzione: dopo sole tre giornate di campionato tremiamo già al pensiero degli impegni ravvicinati, tremiamo al punto da evitare perfino di puntellare la squadra almeno con un titolarissimo a reparto per dare alla squadra un segnale di convinzione, per dimostrare che quest’anno ci crediamo davvero, per nobilitare anche i rincalzi, motivarli, proteggerli e non lasciarli abbandonati alla propria mediocrità. Il Napoli non ha la cantera, non gioca a memoria come il Barcellona, non ha gli automatismi della squadra che puoi scomporre e ricomporre come un puzzle, fino a mutilarla a sangue in virtù di una sua consapevolezza tattica. Il Napoli è un cocktail di grandi giocatori (pochi), di buoni giocatori (tanti) che si esaltano grazie agli altri, e di qualche scartina che Mazzarri sa valorizzare shakerando il tutto con la propria mentalità vincente e una rocciosa quanto elementare strategia di gioco.
Stasera Mazzarri, forse quasi dispiaciuto per la tripletta di Cavani contro il Milan – che rischiava di offuscare la vanità di allenatore dei miracoli – ha provato a vincere da solo, senza che ce ne fosse motivo. E ha perso, senza dignità, contro una squadra che fin dall’inizio ha capito che prima o poi, con quel dedalo di gambette tremolanti e confuse davanti, il golletto l’avrebbe trovato. Questa sconfitta fa male non solo per i tre punti, che un giorno potremmo rimpiangere amaramente, ma per quella sensazione di inutile supponenza ostentata in nome di un turn over che nessuno al mondo avrebbe praticato con il machete come ha fatto Mazzarri. In una partita di campionato, non di coppetta Italia.
Viene da chiedersi se tutto questo abbia un senso, dopo tre giornate di campionato, quando la forma fisica la devi trovare più giocando che stando a riposo. Il limite di Mazzarri è il suo provincialismo, pensare di poter fare bella figura con la camicia bianca anche quando sotto hai scelto di restare in mutande. Per questo assolvo Fideleff, anzi, lo incorono migliore in campo. Dare a a lui la colpa sarebbe come aver fatto turn over di neurini nel proprio cervello.
Luca Maurelli