ilNapolista

Quando Rensenbrink scoprì pal’e fierro

Vinicio lascia il Napoli prima che la stagione ’74-’75 finisca; la squadra viene affidata a Del Frati per le ultime giornate di campionato; si è qualificata per la finale di Coppa Italia, che si gioca all’Olimpico. In tribuna il Petisso, già officiato per il campionato successivo, viene festeggiato dai tifosi.La partita si svolge nella totale indifferenza dei media nazionali la cui attenzione è rivolta ai campionati europei, in svolgimento in Jugoslavia; avversario è il Verona; già nel ’62 l’Olimpico aveva salutato la conquista del primo titolo nazionale, allenatore proprio Pesaola; storico il gol di testa di Corelli proprio contro la squadra della sua città natale (appese le scarpette al chiodo sarà tra i fondatori del sindacato calciatori), bissato da una rete dell’indimenticabile Ronzon a dieci minuti dalla fine; la Spal è battuta 2-1.

La partita col Verona è invece noiosa, da fine stagione (Giulietta è ancora da venire) e si sblocca solo con un’autorete veronese a dieci minuti dalla fine che dà la stura alla goleada finale (4-0, con gol di Braglia e doppietta di Savoldi).

Per la stagione successiva il Napoli cede Braglia al Milan, acquista Ghiarugi, Vinazzani e Speggiorin; Pesaola abbandona il calcio totale di Vinicio per un’impostazione più tradizionale, difesa salda con Burgnich libero e davanti Savoldi, terminale offensivo intorno al quale ruota Ghiarugi; a centrocampo, dove comincia a fare capolino proprio il giovane Vinazzani, si confermano Juliano, Esposito e Orlandini.

Il cammino in campionato è però deludente, mancano sia il gioco spumeggiante di Vinicio che gli stimoli per un campionato di vertice; il ciclo si era in effetti già chiuso a Torino, due anni prima, con la beffa di Altafini; l’acquisto di Savoldi, che pure aveva suscitato enormi entusiasmi (settantamila abbonati), non ha dato alla squadra quel valore aggiunto che tutti si aspettavano; altrettanto l’innesto di Chiarugi, tecnicamente più forte di Braglia ma spesso sterile e dedito, per lo più, alla simulazione in area (per lui Michelotti, arbitro parmense dalla chioma rossiccia, conierà il termine chiarugismo).

In compenso il Napoli vola in Coppa della Coppe e si presenta alla semifinale, nella doppia partita con l’Anderlecht, pronto al grande risultato: la prima finale europea della sua storia.

L’andata, che si gioca al San Paolo, è preceduta da animate discussioni sulla forza della squadra belga (che, a differenza del Napoli, ha una lunga esperienza internazionale ed è campione in carica); si teme soprattutto la classe e la potenza di Rensenbrink, olandese, inamovibile titolare dei tulipani, che si è già messo in luce al mondiale di Germania (in quello successivo dell’Argentina segnerà lo storico gol n.1000); è un’ala sinistra veloce, con un dribbling secco e gran fiuto del gol.

Ma Rob Rensenbrink non ha ancora incrociato pal’ ‘e fierro che lo marca stretto sin dall’inizio e dopo pochi minuti, con un intervento sulle gambe, lo fa letteralmente volare, spegnendone ogni velleità; l’undici olandese prima esce dal campo e poi, rientrato, gioca l’intera partita girando al largo della difesa napoletana e in particolare da Bruscolotti che, verso la fine dell’incontro, riceve su punizione da Juliano, fa qualche passo e con una legnata delle sue (‘na cagliosa, commenterà) insacca alle spalle del portiere belga. È il trionfo del Napoli ma è il trionfo soprattutto della “mascella di Sassano”, eroe del giorno, davanti ad una folla strabocchevole.

Il ritorno a casa dell’improvvisato cronista è condito, nell’euforia della vittoria, da un curioso episodio, degno del teatro di strada napoletano, mai avaro di sorprese.

La calca è indescrivibile; la stazione di Campi Flegrei stracolma; impossibile raggiungere i treni della metropolitana; siamo in sei o sette, i soliti; da anni seguiamo il Napoli dalla Curva A, quella di una volta, tanta passione, tanti sfottò, qualche mala parola ma nulla di più; decidiamo di proseguire a piedi; passa una bisarca (è un giorno feriale e comunque nessuno pensa, naturalmente, di regolare il traffico nei dintorni dello stadio); quasi per scherzo: capo, ci date ‘nu passaggio? e l’autista, senza scomporsi: saglite, guagliù! Montiamo in due su di una macchina, in due su di un’altra e in due su di un’altra ancora e, tra i commenti divertirti dei passanti (che lascio immaginare), riusciamo a “scapolare” la galleria e raggiungere piazza Sannazzaro.

Il ritorno in Belgio riserva le solite amarezze; dopo la partita, che la Rai trasmette in diretta (è una delle prime volte che il Napoli assurge agli onori della diretta televisiva, da sempre riservata alle squadre del nord) si saprà che l’arbitro designato, l’inglese Matthewson, è in rapporto di affari col presidente dei belgi; ma durante la partita è subito evidente per chi gioca, perché al quinto minuto annulla un gol regolarissimo di Speggiorin, un gol che, valendo doppio, ci avrebbe sicuramente regalato la finale; ottantacinque minuti per chiudersi in difesa e ripartire in contropiede sarebbero stati un invito a nozze per il Petisso. Invece l’incredibile decisione del direttore di gara smonta i nostri e galvanizza ancor più i padroni di casa; si gioca in una bolgia indescrivibile dove i non pochi tifosi azzurri faticano a farsi sentire. Pal’ ‘e fierro non fa miracoli, l’Anderlecht attacca con veemenza e il Napoli mai riesce ad imporre il suo gioco, finendo per subire quello degli avversari che segnano due volte e passano il turno. In finale usciranno sconfitti dall’Amburgo, squadra abbordabilissima; il rimpianto per l’eliminazione è enorme. Stoccarda è ancora lontana.
Mimmo Taglialatela

ilnapolista © riproduzione riservata