La squadra più forte della capitale francese? Il “Paris San Gennar”, una squadra di tifosi napoletani che esorcizza la lontananza costringendo un barista torinese a trasmettere le partite del Napoli. Luca Picardi, napoletano classe 1973, a Parigi ci è andato per studiare le filosofie indiane e ci è rimasto per amore (e per le biblioteche): «Con i ragazzi del club oramai siamo una piccola famiglia…». Ogni partita suda la stessa maglietta consunta, “Onore a chi ha scritto la nostra storia”, ed è grato al destino che gli ha fatto incontrare, Donatella, la sua compagna, con la quale divide la stessa passione. (Del resto, come sopportare altrimenti uno che non si cambia per tutto il campionato?)
Com’è stato che ti sei ammalato?
È tutta colpa di mio padre, ma anche Maradona ha avuto la sua responsabilità. Mi portavano allo stadio fin da piccolo e mi sono aggravato irrimediabilmente negli anni del Pibe.
Da lontano… quanto è complicato restare napoletani da lontano?
Ho allenato duramente il mio francese (e la mia pazienza) provando a demolire il connubio napoletani-poubelles (munnezza), ma io non desisto, rincuorato dai tanti parigini innamorati di Napoli, gente che la città l’ha conosciuta davvero (e non dai Tg internazionali) e ne è rimasta estasiata. Ragazzi che rimangono legati alla città: ne conosco uno che è diventato un tifoso sfegatato e un altro che consulta sul telefono l’applicazione con la smorfia! Per vedere la partita dopo aver lungamente combattuto con lo streaming ogni maledettissima domenica, mi sono messo alla ricerca di altri tifosi, sperando di vedere le partite insieme. Ho girato sui forum, cercato nei bar, fino a trovare un locale italiano (il proprietario lombardo ma di fede torinista) e dopo un paio di buoni risultati (pareggio col Milan e grande vittoria con la Juve, che serata!), ormai siamo un gruppo affiatato che si è trasferito anche su FB!
Riti scaramantici?
Tutta la domenica è una scaramanzia. Intanto se gli amici ci invitano fuori, noi gli rispondiamo che abbiamo la messa (del resto, sempre di fede si tratta!). La mattina appena apriamo gli occhi intoniamo il primo coro della giornata dedicato al Napoli. Stessa uscita e stesse scale della metropolitana; entrare nel bar dove vediamo la partita cantando un coro accuratamente scelto; cantare cori durante la partita; stesse posizioni per tutti, almeno i più “stretti” del club; io e Donatella non tocchiamo cibo durante le partite, neanche nell’intervallo, si mangia prima o dopo per le partite diurne, solo ed esclusivamente dopo per le serali (l’unica volta che abbiamo mangiato prima è andata male!). E prima di entrare al San Paolo io e Donatella beviamo sempre un “peroncino” al Gazebo davanti la curva B. Infine ci sarebbe un rito “esoterico” del club, messo a statuto tramite assemblea, eseguito da me durante la partita, che coinvolge il malcapitato proprietario del bar, propiziatorio dei gol del Napoli. Ma su questo mi taccio, è un segreto.
Il ricordo più intenso legato al Napoli.
Gli Anni 80 sono un unico intenso ricordo, soprattutto al San Paolo, sentirsi parte di qualcosa che si sente all’unisono, quel vibrare intenso come un corpo unico (altro che psicologia delle folle di Le Bon), le esaltazioni ai gol, quell’abbracciarsi con chiunque sia a “tiro”, il trovarsi sbattuto dall’altra parte della curva senza nemmeno accorgersene. Certo, succede anche oggi, ed è bellissimo, però in quegli anni era tutto così unico e magnifico. E poi, naturalmente le feste per scudetti e coppe, in particolare la prima. Di quei giorni ricordo la “grande marcia” dopo la partita da fuori lo stadio, tra l’azzurro e i colori dei balconi e palazzi, della gente incredibile che camminava a piedi, viale Augusto, la grotta che da Fuorigrotta porta al centro, e le macchine piene di gente, le macchine tagliate, dipinte… è incredibile come uno dei miei ricordi più forti e intensi sia quella grotta “malsana” e interminabile piena di gente, fatta a piedi con al massimo una sciarpa davanti la bocca.
Fuorigrotta, il nostro tempio…la partita che non hai dimenticato al San Paolo.
Un Napoli- Roma 1-3 in cui successe di tutto, si appiccarono fuochi, furono divelti i marmi degli scaloni e un aereo sorvolò lo stadio con una scritta contro Ferlaino per l’arrivo di Juliano. E mi ricordo, non so quando, di un triangolare amichevole Ipswich Town e Flamengo: ho visto Marangon e Krol giocare insieme allo stadio. Però partite che non ho dimenticato negli anni d’oro sono state sicuramente: Napoli- Fiorentina del primo scudetto con lo stadio tutto bardato di azzurro e un incredibile “rumore” continuo; Napoli- Juve 3-0 di coppa Uefa con il gol di Renica quasi allo scadere, con il pallone che si insacca nella rete proprio di fronte a me in curva B e lo stadio che esplode; Napoli- Milan 4-1, la rivincita dopo lo scudetto perso l’anno prima; Napoli-Fiorentina nell’anno del secondo scudetto, con la rimonta da 0-2 a 3-2, dopo l’ingresso di Diego nel secondo tempo, che sbagliò perfino un rigore.
Cosa non si fa per passione? Raccontaci la tua follia…
Quest’anno sicuramente le due trasferte a Liverpool e Utrecht. La prima per la difficoltà di prendere i biglietti da Parigi, direttamente dal sito del Liverpool, mi finsi francese per due volte per riuscire a prendere i biglietti per tutti. A Utrecht è stato peggio. Avevo promesso la partita come regalo di compleanno per Donatella. La mattina perdemmo il treno (che ci partì davanti), un giorno di dicembre tra i più freddi dell’anno, allo stadio la temperatura sarebbe arrivata a -10. Avevo un brutto presentimento. Non eravamo nel settore ospiti e la selezione era durissima. Abbiamo superato il pre-filtraggio spacciandoci anche per francesi. Una volta dentro siamo diventati inglesi, prima di prendere finalmente posto. Neanche il tempo di sederci e capimmo che sarebbe stata una partita difficile. Dalle nostre postazioni partivano i peggiori “vaffanculo” indirizzati al settore ospiti. Inutile aggiungere che al terzo gol dell’ Utrecht non so nemmeno più bene in quale lingua ho imprecato. In un momento ci siamo trovati accerchiati dagli stewards e un attimo dopo buttati fuori. “Solo la maglia”, azzurri prima di tutto.
Ma chi è il tuo calciatore del cuore?
Escluso il D10 del calcio amo molto Careca, Crippa e Alemao. Ah? non giocano più?! Seriamente, per me conta veramente la maglia e sostengo tutti quelli che la indossano e la onorano, dando il massimo. All’inizio mi piacevano molto Gargano e Lavezzi, uno perché correva senza fermarsi fino alla fine e l’altro perché anche quando sbagliava un passaggio e perdeva palla, correva a contrastare e cercare di recuperare. Oggi ho più rispetto per Cannavaro, il capitano: ha dimostrato attaccamento alla maglia, è stato bistrattato oltremodo negli anni passati e ha reagito dimostrando carattere.
La maglia n.10. Potrà tornare ad essere indossata?
Ti dico solo che mio padre all’epoca mi chiamava “vedovo” di Maradona; ora potrei mai dargli questo dispiacere?
Un augurio personale alla squadra e un pensiero alla città… Ricominciamo da TRE?
Questa squadra ha lottato fino alla fine. Spesso a fine partita abbiamo gridato in coro: “la gente come noi non molla mai”. Spero che questo grido risuoni ogni giorno nella mente di noi napoletani, sempre pronti ai facili entusiasmi e alle altrettanto facili depressioni, mettendo da parte cinismo e rassegnazione che spesso fanno parte del nostro bagaglio, anche per la storia da cui veniamo.
Che dici, è l’anno buono, lo vinciamo ’sto scudetto? e la Champions?
Come?! Non capisco… deve esserci qualche interferenza nella comunicazione… come? ah, è un’intervista scritta?…allora è il video che non funziona bene, la tastera ce fra caprcci…
Agnese Palumbo
Intervista a Luca: Da Parigi a Utrecht con la fidanzata per essere poi cacciati dagli steward
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