Quando si parla di codici e comportamenti etici, nessuno è perfetto. Insomma, Giuseppe Narducci, l’ex pm ora assessore con de Magistris, non è il primo, né sarà l’ultimo a convivere con palesi contraddizioni. Prendiamo il caso di Giacomo Leopardi, di cui proprio in questi giorni Mario Martone sta portando in scena a Parigi le Operette morali. Un giorno del 1883, il poeta dell’Infinito, nonché il grande fustigatore del carattere italiano, invia una lettera al cardinale Consalvi, ex segretario di Stato vaticano, e che cosa chiede? Una raccomandazione. Proprio così.E non la chiede per un parente prossimo o per un amico in stato di bisogno, bensì per se stesso. «Eminentissimo principe, incoraggiato dai luminosi esempi di Sua generosa benevolenza verso quei sudditi pontificii che in qualche modo si affaticano per li progressi de’ buoni studi, supplico l’Eminenza Vostra Eminentissima a rivolgere anche sopra di me i Suoi benefici sguardi…».
Con questa lettera, Leopardi suggerisce anche quale posto avrebbe potuto occupare, e cioè quello di Cancelliere del Censo in qualche «importante» capoluogo di Delegazione. Non solo. Nel caso quel posto non fosse vacante, poco poeticamente, Leopardi invitava anche l’Eminenza Reverendissima a trasferire di peso lo sfortunato che lo occupasse. Nel riferire questo episodio nel suo ultimo libro La fabbrica dell’obbedienza, Ermanno Rea confessa tutto il suo disagio. Una cosa, spiega, è chiedere un posto. Un’altra è avere l’ardire di aspirare a un posto «importante». E un altro ancora è far le scarpe a qualcuno per godersi il di lui impiego pubblico. «Be’— dice Rea— questo lascia a dir poco ammutoliti».
A mia volta ho fatto questa lunga citazione perché sono convinto che se a commentare l’episodio leopardiano fossero stati chiamati alcuni fan di Narducci, questi, senza alcun disagio e per niente ammutoliti, lo avrebbero sicuramente incluso tra le innumerevoli prove di impegno civile del Recanatese. In fondo, non era la sua una battaglia per il merito? Non si batteva, Leopardi, per chi si era affaticato nei buoni studi ? Dico questo, con chiaro intento provocatorio, perché emergo da alcuni giorni di fittissimo botta e risposta proprio sui temi della coerenza e dell’etica a proposito del caso Narducci.
Nel mio blog pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno ho, infatti, posto una semplice domanda: se c’è un codice deontologico predisposto e approvato dall’Associazione magistrati, e se questo codice vieta esplicitamente che un magistrato possa ricoprire il ruolo di assessore nella stessa città in cui ha esercitato con la toga indosso, perché Narducci lo ha fatto? Ho raccolto commenti di ogni tipo. L’unica cosa che conta, ha detto ad esempio un tal Garofano, è che «tanti cominciano a sentirsi ora sulla graticola». «Ma secondo lei — mi ha scritto un altro — per fare la rivoluzione Masaniello ha chiesto il permesso all’Anm?».
Chi più, chi meno, tutti mi hanno spinto a considerare che senso avesse, in una città come Napoli, porsi domande di lana caprina sulla coerenza e sul rispetto dei codici etici. I più assennati hanno argomentato così: d’accordo, dal punto di vista teorico i dubbi su Narducci ci stanno anche, poi però ogni teoria va contestualizzata. E in nome dell’ «emergenza democratica» tutto fa brodo. Eppure, se la norma sulla incompatibilità è stata introdotta, una ragione deve pur esserci, no? Mi è stato spiegato che a Napoli c’è la camorra e che Narducci è stato chiamato al Comune proprio per far la lotta alla criminalità organizzata. Ho dunque replicato che la lotta ai boss, di solito, riesce meglio in Procura, dove ci sono mezzi e poteri, piuttosto che in uno studio assessoriale di un Comune privo di competenze e risorse. Ovviamente, non sono riucito a sfondare alcuna breccia nel muro delle certezze rivoluzionarie dei narducciani.
Sul sito Napolionline, che pure ha ripreso il mio post sull’ex pm, le risposte sono state anche più naïf. «Questo Demarco non sta bene, forse pensa di stare in Svizzera» , ha scritto «Gmasu» . Ecco, invece, il post di «Vota Antonino» : «Barzellettieri d’Italia, unitevi fraternamente, qui a Napoli, perché nella città dell’illegalità diffusa, dove tutti fanno quello che vogliono, ma proprio tutto, adesso è diventata questione di Stato il codice etico a cui deve attenersi un magistrato…». Per Walter, ancora, la questione del codice etico sarebbe null’altro che «una sega mentale».
Tutto questo ho letto con relativa inquietudine, convinto che poi lo stesso Narducci avrebbe chiuso la discussione con argomentazioni comunque convincenti. E invece, niente. Ma proprio niente. Sui giornali di ieri c’erano i resoconti delle sue prime interviste. Inutilmente i cronisti hanno chiesto al neoassessore di spiegare perché non avesse tenuto conto del codice etico e di rispondere alle obiezioni rivoltegli sia dal vicepresisente del Csm, Vietti, sia dai vertici della Anm, vale a dire del presidente Palamara e del segretario Cascini. Neanche una parola, solo un arrogante silenzio. «Sono un magistrato in aspettativa — si è limitato a dire— e ora voglio essere giudicato solo come assessore» . Molto, invece, Narducci si è diffuso sugli scenari nazionali e sul ruolo decisivo, in questa prospettiva, di Luigi de Magistris. La politica come unico, esclusivo interesse: ecco l’orizzonte nel quale sembra muoversi questo magistrato in aspettativa.
Marco Demarco (dal Corriere del Mezzogiorno)
L’assessore Narducci si avvale della facoltà di non rispondere
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