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Se il Napoli è lassù lo dobbiamo a De Laurentiis

Il nostro è uno strano paese, e Napoli non fa eccezione; un paese dove le opinioni sono costantemente separate dai fatti. Dunque De Laurentiis prende il Napoli nell’estate del ’94 e, in sette anni, dallo zero assoluto (il famoso pezzo di carta cedutogli dal giudice fallimentare) lo porta in Champions; nessuno ha il coraggio di affermare che poteva, o doveva, fare di più. Un solo errore, Donadoni, e una serie costante di successi, sino al risultato di quest’anno.
Se il Napoli è finalmente lì, e ci rimarrà di sicuro per un bel po’, dunque lo dobbiamo principalmente a lui, alle sue intuizioni, al suo equilibrio, alla sua capacità di non esaltarsi troppo per una vittoria né di deprimersi alla prima sconfitta; ad un imprenditore, forse il primo, che non si fa condizionare dalla piazza o che cerca colpi ad effetto, a volte, anzi, andando controcorrente ma mirando sempre all’obiettivo; e senza farsi mettere i piedi in testa da nessuno, calciatori e allenatore compresi.
Già conosco le obiezioni; ed allora guardiamo la Juve; forse il nome che porta le ha garantito gli stessi successi del periodo precedente la retrocessione? Non mi sembra; dunque non capisco perché il solo chiamarsi Napoli avrebbe dovuto favorire risultati migliori. Ma, si dice, il Napoli è una grande realtà, con un enorme bacino d’utenza e una straordinaria città alle spalle; bene, e da cosa dovremmo trarre la convinzione che i risultati, in futuro, non saranno in linea con queste premesse?
Siamo arrivati alla rivalutazione di Ferlaino (per molti una sorta di revisionismo) che, come ha ricordato Mimmo Carratelli, è stato presidente per trentatré (dico trentatré) anni, cioè una vita, e che se non avesse pescato il jolly a Barcellona (e che jolly!), peraltro voluto fortemente da qual grande capitano che fu Antonio Juliano, non avrebbe vinto nulla, come non vinse nulla prima (ah, dimenticavo, la Coppa Italia del 1976) e nulla vinse dopo, anzi portandoci verso quel fallimento poi certificato da Naldi. Si, ma all’epoca non c’erano i diritti televisivi; si, ma c’era il botteghino e quello del Napoli era tra i primi (qualcuno ricorda che con l’acquisto di Savoldi furono sottoscritti  settantamila abbonamenti?); capisco la nostalgia che stempera le amarezze e rende i ricordi struggenti ma al confronto De Laurentiis è un gigante; non sarà proprio simpatico, ha una marcata inflessione romanesca, è sicuramente meno tifoso di Ferlaino (questo è certo) ma il raffronto tra i due è impietoso. Chi ha un po’ di memoria dovrà convenire che mai il Napoli ha avuto un programma così lungimirante, mai sono state poste con gradualità, e spesso con sagacia, come necessario, le basi di un progetto credibile, in grado di durare nel tempo e non lo spazio di qualche stagione.
Non voglio scomodare Ascarelli, che appartiene al mito e i miti non si discutono, ma Lauro cosa ha vinto? La Coppa Italia del ’61, e il Napoli è stato suo per un periodo altrettanto lungo.
Consiglio a quanti hanno voglia e tempo la “Intervista sul calcio Napoli” di Maurizio Barendson e Antonio Ghirelli; è un po’ datata (1978, editore Laterza) ma meglio di altri scritti indaga il rapporto tra la squadra e la città; e approfitto di Antonio Ghirelli per una citazione dalla sua Storia di Napoli; riguarda cioè tale Caccavone (siamo verso la metà dell’Ottocento), salace epigrammista, che scriveva:
“Ciccio dice che l’uommene so’ rrare, l’uommene comme ‘a isse, e ca si fosse rre, farria jettà tutte li fesse a mare. E i’ dico: Ciccio mio, come farisse? tu che nun sai natà?”

Mimmo Taglialatela

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