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L’arbitro è un alibi, la società non li difenda

La sconfitta di San Siro e il relativo arbitraggio molto casalingo mi ha riportato alla mente qualche esperienza scolastica. Credo sia capitato a tutti di ritrovarsi di fronte un professore che, a torto o a ragione, ci metteva i bastoni fra le ruote e ci riservava una “cordiale” antipatia che si manifestava in valutazioni scadenti e insufficienti, spesso non meritate. Quando però tornavo a casa con la pagella o con cattive notizie sui voti ottenuti, i miei genitori non volevano sentire storie: «Ti credo pure – mi dicevano – ma significa che devi studiare di più». Non comprendevo la loro reazione, volevo che prendessero le mie parti o almeno ascoltassero le mie ragioni. Invece nulla: studiare studiare studiare. L’ho compreso solo dopo molto tempo il loro comportamento e, devo riconoscere, di averne tratto moltissimi benefici non solo a scuola ma soprattutto nella vita.
A sentire le parole di Mazzarri e Bigon sembra invece che ai giocatori venga offerto l’alibi di un arbitro al di sotto delle parti. Di sicuro non potremo mai sapere che cosa abbia detto l’allenatore negli spogliatoi e, va precisato, che spesso le parole affidate alla stampa non sono le stesse che un allenatore riserva ai giocatori. C’è da augurarsi che non siano le stesse e che le versioni siano due: una per i media e un’altra per le mura dei vestiari di Castelvolturno.
Anche la stampa gioca il suo ruolo: gridare all’arbitro incompetente e in cattiva fede genera la vendita di tante e tante copie. Non avendo qui l’obbligo di perseguire obiettivi di profitto credo sia opportuno poterne parlare con calma e obiettività. Il Napoli ha perso, ha perso anche per l’arbitro, ma non ha perso assolutamente soltanto per colpa di qualche svista compiacente ai rossoneri. Gli azzurri non sono mai scesi in campo, hanno atteso gli eventi anziché rendersi protagonisti del proprio destino. Se stai per un’ora e mezza nella tua aerea di rigore devi avere una fortuna sfacciata per uscire indenne dal Meazza senza che quei diavoli funambolici ti facciano almeno un gol. E non ci sono state neppure reazioni significative al gol: quelle che ad esempio ancora ci inorgogliscono della remuntada contro la Juve o in casa un anno fa proprio contro il Milan.
Cosa dobbiamo dire a questi ragazzi? Sicuramente tre parole: lavorare lavorare lavorare. Ancora di più. Anche le più dure ingiustizie si possono controbattere.
Per la cronaca, tornando alle esperienze personali, riuscì ad ottenere la licenza liceale. Il giorno dopo aver preso il diploma la mia odiata professoressa di inglese cambiò istituto non avendo più la sua cavia da sfrocoliare. Non so che fine abbia fatto: ma ringrazio lei e i miei genitori. Nella vita sono andato avanti anche per quelle avversità superate. Mi sono pure laureato e parlo un inglese abbastanza fluente. Spero possa essere un buon presagio anche per il nostro Napoli: prendere la laurea nel campionato italiano. Walter, do you believe it?
di Valentino Di Giacomo

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