Mazzarri o Mourinho? Il paragone non suoni blasfemo. Più facile decidere se tener fuori Balotelli o Stankovic, oppure esaltare le qualità nascoste di Aronica e Grava? Più comodo chiedere e ottenere Adebayor o Mascara? Non credo esista risposta scontata alle questioni, nel conto occorre mettere anche i successi conseguiti in rapporto alle forze di cui si dispone. E finora solo Guardiola sta ottimizzando al massimo le risorse quasi infinite che il Barcellona gli ha dato da gestire. Mazzarri o Mourinho? È stata una delle alternative che si sono posti gli allenatori italiani chiamati ad assegnare il loro Oscar stagionale. Hanno scelto secondo il criterio più prevedibile, l’effetto riparatore del voto dopo lo sgarbo dello scorso anno è stato evidente; il «triplete» conquistato dall’Inter era troppo eclatante per consentire alla categoria una provocazione intellettuale. Che per Mazzarri sarebbe stato equo riconoscimento dei meriti conquistati sul campo napoletano, banco di prova sul quale sono stati smascherati in passato molti bluff. Quanto conta chi sta in panchina? Molto, moltissimo se deve allenare la squadra e pure il pubblico che vorrebbe tutto e subito, dopo un letargo durato vent’anni. Il calore della gente di Napoli Mazzarri se lo sente addosso, le maniche di camicia ostentate anche sottozero sono il segno di questa corrispondenza diretta con chi gli ha consegnato una missione da compiere. Se hai un Cavani come non s’era mai visto, se riesci a rivitalizzare talenti che parevano quasi perduti come Sosa, se hai il coraggio di rinunciare all’alibi delle assenze di Lavezzi, significa che sei consapevole del compito, sai perfettamente che non ti trovi per caso al secondo posto staccato di tre punti da una corazzata pronta a mettere sottocoperta Cassano o Pato. Eppure quel nome, sussurrato e mai pronunciato, non è una scaramanzia da esibire per vezzo, ma un esercizio di realismo al quale attenersi per onestà culturale. Chiamiamolo rispetto per gli avversari, o riconoscimento del loro valore sulla carta: Milan e Inter soprattutto possono esibire rose da prime d’Europa, il Napoli è ancora condizionato dalla forma (finora straordinaria) di quei magnifici tre. Questo non significa rinunciare ai sogni, non coltivarli con l’entusiasmo di un ragazzino che dedica al suo giocattolo anche le energie più remote. Ieri s’è emozionato quando si è sentito definire maestro di calcio e di psicologia nella motivazione del premio dedicato ad Andrea Fortunato, morto a 24 anni, mentre era nel bel mezzo di un sogno: la Juventus e la Nazionale conquistate partendo da Salerno. Mazzarri s’è commosso quando ha ascoltato le storie di altri ragazzi che la malattia l’hanno vinta o la stanno combattendo. Loro non hanno un titolo da guadagnare, ma una vita da salvare, la differenza riporta sulla terra valori che a volte sopravvalutiamo. Ma sono guerrieri come lui che non griderà (come Mourinho) di godere al rumore dei nemici, ma negli occhi ha la voglia di vincere. Anche quella cosa il cui nome non pronuncia mai.
Massimo Corcione (Il Mattino)
Se Mazzarri
è meglio di Mourinho
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