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Sapessi com’è strano
fare il napolista a Milano

La settimana più lunga dell’anno, per un napolista a Milano.
Anzi, la più lunga degli ultimi 21 anni. Perché era dal ’90 che Milan-Napoli non valeva lo scud…. [censura]
Ah, non si può dire? Sento già il rumore di gesso sulla lavagna della Società…Ok, scusate. Riformulo: era dal ’90 che Milan-Napoli non era incontro tra le prime due della classifica (così è più asettico).
C’erano le notti magiche di Bennato e Nannini, c’erano i gol di Maradona e Van Basten, le sportellate tra Senna e Prost, le racchettate tra Edberg e Becker, gli accordi tra Bush Sr e Gorbaciov, le schermaglie tra Andreotti e Craxi.
Ma basta amarcord, è ora di guardare avanti: la settimana è lunga, e non solo perché si gioca di lunedì sera. Io quella parola non la voglio dire, anzi, sono del partito del “passo dopo passo” (anche se sembra una frase del primo Bassolino, lo so, e stendiamo un velo pietoso su come è finita poi).
Non la pronuncio, ok, ma qui tutti cercano di fartela dire. Il lunedì mattina, dopo la vittoria sul Catania, il primo collega che incontri, interista, mi fa “Alùra, siete in corsa per lo scud….[censura], mi raccomando col Milan”, io sorrido e, fedele alle consegne, rispondo “Ma no, l’obiettivo vero è andare in Champions, poi tutto quello che viene in più, tanto di guadagnato”… Lui fa la faccia di quello che non crede a una parola, e ovviamente sotto sotto spera in un bello (per lui) 0-0 per riavvicinarsi alla vetta.
Mentre lui si allontana, e sta sopraggiungendo il tecnico romanista, faccio in tempo a rifletterci: “Beh, a pensarci bene, solo pochi mesi fa anche la parola Champions era tabù, adesso non ce lo ricordiamo ma era così…”.
“Ma che devero ve pensate de vince ‘o scud….[censura]?” E lì lo fermo subito, non gliela faccio neanche finire, la parola, che lui invece vorrebbe assolutamente dirmi, e soprattutto farmi dire, non foss’altro che per buttare la palla nel mio campo e sorvolare sui suoi guai. “Altolà, c’è prima la partita di coppa col Villareal, un passo alla volta”, gli faccio, spazzando in angolo alla Cannavaro, giusto per meritarmi un romanissimo “Seeeeeee vabbè”.
“Piuttosto, sta sconfitta contro il Napoli non vi ha lasciato strascichi, vedo” gli faccio a mo’ di sfottò, come piccola arma di distrazione di massa (il tecnico in questione è decisamente corpulento, c’ha la barba e lo chiamano Mozzica, ma pare sia il suo nome vero). “Per fortuna ora c’è Montella, gira e rigira sempre dai napoletani siete circondati”, è il mio modo per chiudere il match senza rischiare di dover pronunciare la fatidica parolina.
La redazione, qui a Milano, è piena di persone provenienti da ogni parte d’Italia, quindi – dando per scontato il silenzio degli juventini, che per ovvi motivi, in questo lunedì, non mettono in mezzo l’argomento calcio – aspetto a questo punto, con paziente rassegnazione, di incontrare il milanista che cercherà di farmi nominare la parolina proibita.
So già che vacillerò, ma non cederò: la parola scud… [censura] ancora non la dico, chiamatemi pure scaramantico. Ecco, vedete? A forza di sentirsela intorno, dai media, dai colleghi, dagli amici, dagli avversari, già do segni di cedimento mettendo un “ancora” davanti…
Stranamente, comunque, il milanista a lavoro non si è appalesato in questo strano lunedì.
Ma arriverà, sicuro. La settimana è ancora lunga, le probabilità di incontro sono altissime. Anche perché Milano, si sa, è un posto particolare: pare che sia pieno di milanisti.
Vittorio Eboli

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